Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Cristina Comencini

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

Tiberiade Matteis Dopo la fortunata esperienza di «Due partite», commedia d'esordio poi passata al grande schermo, Cristina Comencini prosegue sulla strada della drammaturgia, confidando nella contaminazione degli strumenti espressivi e individuando nel palcoscenico un'arte libera dalla necessità dell'azione che appartiene invece al cinema. Il suo nuovo testo «Est Ovest» verrà incarnato da Rossella Falk, Luciano Virgilio, Claudio Bigagli e altri sei interpreti, da lei diretti, con debutto nazionale il 13 ottobre al Teatro Eliseo. Quali temi vengono affrontati in «Est Ovest»? «La protagonista è Letizia, una donna che è stata ricca e deve fare i conti con i suoi figli che si vendono tutto. La sua badante riscontra l'analogia fra questa situazione e quanto accadeva in Ucraina ai tempi della guerra civile. La famiglia che descrivo rappresenta l'Occidente nella sua nuova povertà e nella sua presunzione. C'è la fine di un mondo con le sue false illusioni, ci sono la precarietà e la vulnerabilità degli interessi artistici della mia generazione e infine la completa mancanza di punti di riferimento dei ragazzi di oggi. Si sviluppa, inoltre, la dimensione dell'assenza: la nipote Isabella è scomparsa e la sua immagine riflette il dolore di ogni perdita, ma anche la nostalgia delle figlie sperimentata dalla domestica straniera. Ognuno si misura con la separazione a suo modo e riempie il vuoto parlando di sé: è lo struggimento per la mancanza dell'affettività, della follia o del calore che rendono la vita più significativa». Si riconosce nella sua generazione o ne avrebbe preferito un'altra? «Vorrei essere nata ai tempi fantastici di mio padre o di Rossella Falk. Era un'epoca di giganti e il cinema e il teatro hanno saputo offrire il massimo. Qui la figura di Letizia si pone come il gigante della famiglia, ma è poi destinata a crollare. Non mi sento però di quella generazione e infatti non so dare ordini, se si fa eccezione per il mio lavoro di regista. Al contrario trovo la nostra esperienza di vita quanto mai fratturata e perciò più interessante». La coralità dei personaggi è una sua cifra creativa? «Direi di sì. In questo caso, per esempio, avevo concepito un testo con due sole protagoniste che poi ha preso un'altra piega in quanto tutti gli altri familiari mi apparivano importanti e utili per fornire un affresco che superasse il legame fra genitori e figli per diventare uno specchio della nostra società odierna. Intendo comunicare che il mondo attuale ha perso la sua centralità e non lo considero un fatto totalmente negativo. Questa famiglia sventrata che racconta se stessa è migliore di tante realtà benestanti abituate a tenere tutto dentro». Come si è trovata con Rossella Falk? «È un'attrice splendida che sa passare dalla commedia pura, densa di sarcasmo e cattiveria a un finale in cui si rivela distrutta e commovente. Ha una varietà di registri unica: poche interpreti avrebbero potuto recitare Letizia bene come lei. Il teatro è una prova che non tutti gli attori di cinema sono in grado di affrontare. Bisogna accettare che l'evento sia scritto sull'acqua e che non venga mai identico».

Dai blog