Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Il poeta e la vanità

Esplora:
default_image

  • a
  • a
  • a

Lacarriera, iniziatasi alla Corte dei Conti, corre veloce e a 47 anni è presidente del Cosiglio di Stato. Dalla Calabria, Corrado Calabrò arriva dopo la laurea e dopo aver vinto il primo concorso. La moglie ha 18 anni. La vita s'intreccia di insoliti interessi arricchiti e mai confusi con il primo amore, quello per l'astrofisica scoppiato a quindici anni. Scoprire che immaginiamo di star fermi mentre giriamo a 105mila chilometri l'ora senza contare i 72.000 della velocità di traslazione un po' l'allontanò dalla fatica di pensare dove stesse il suo contagiri personale, un po' gli appassionò l'anima che si concesse di esplorare l'evanescenza dei confini e delle consuetudini. Per aprire la porticina delle emozioni. Senza le quali ogni esperienza è vana. Il sogno e la crudezza poterono incontrarsi senza annullarsi in alcun paradosso stabilizzatore. Il dovere e la famiglia innanzitutto. Un amore spregiudicato per i codici e le sentenze, alcune contestate eppure condannate a fare giurisprudenza anche per quei colleghi che non avrebbero voluto leggerle. La legge è uguale per tutti. Il primo incontro con i versi risale al '71. E per dieci anni lo scrittore, classe 1935, fece un po' finta di niente. I suoi poemi piacevano agli altri e coltivavano la sua vanità. Quella che non nasce dal gusto di ritrovarsi nelle proprie parole, nel provare a rileggersi, ma si nutre soprattutto del privilegio del poeta che ha ottenuto in dono di assaporare l'ebbrezza dell'innamoramento ogni volta che il verso sale, prepotente, da un'anima che non lo cerca eppure lo vuole. Oggi Calabrò è noto al pubblico per la tenacia e l'impazienza con la quale accoglie e rilancia le rimostranze del fluorescente pubblico degli schiavi del telefonino. Ogni mattina sta un'ora con i suoi collaboratori per organizzare la giornata di lavoro e tentare di difendere chi lo chiede dalle compagnie che giocano coi nostri soldi mischiando tariffe e camuffando sconti. Ma anche a vigilare sulla Rai a causa della quale la sua scrivania è piena di abbonati insoddisfatti dal degrado velinaro, dall'urlo scomposto e dal teatro di chi fa tutto senza pensare a niente. Il presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha tenuto le due vite distinte. Forse solo il mare della Calabria è passato da una sponda all'altra. In un amore che non finisce nonostante la lontananza dalla terra natìa. Due vite segnate dalla variegata aspirazione a congiungere senza confondere. In una naturale ossequiosa presenza che s'inchina alla bellezza del verso e sa ergersi in forza del diritto. Nei primi dieci anni da poeta nessuno immaginava che il Calabrò delle poesie fosse il magistrato. A chi poteva venire in mente che l'austerità si trasformasse in un braccio mosso come da una telescrivente sospinta dalla dolcezza dell'amore, dalla drammatica lievità della passione? Un giorno qualcuno, su un treno, gli fece la domanda: Ma sei tu? E lui rispose: conosco le poesie di cui parli. Era arrivato il momento in cui non rischiava di sentirsi dire che come magistrato era un ottimo poeta e viceversa. Le carriere parallele s'erano rincorse a quale delle due (solo due?) ottenesse maggiori riconoscimenti. Le due storie potevano finalmente riunirsi alla luce di un amore collaudato. Come in una relazione, l'una conosceva la forza e le debolezze dell'altra. Ed è per questo che oggi capita di ascoltare Calabrò mentre difende i cittadini all'incontro annuale dell'Unione Consumatori mandando a dire alle Compagnie telefoniche che lui non si stancherà di combattere l'illecito. Passa un mese e lo ritrovi appagato dall'atmosfera di una luce soffusa, i fiori sul tavolo, la musica in sottofondo. Lì dove si parla di poeti e di poesia: la musa irresistibile a «cui resisto un po'. «Non rinnego - dice la soddisfazione del successo - ma la poesia si sottrae alla compiacenza». Ed ecco che arriva «La stella promessa» il poemetto di seicento versi pubblicato da Mondadori scritto fra un'alba di sabato e un lunedì mattina. Seicento versi di sogno e crudezza. Una poesia dietro l'altra. Di amore spudorato per l'amore e per le sue inquietudini. Senza un solo lucchetto. Mano libera alla sorpresa. Diritto, per chi legge, di rubarsi ciò che vuole. L'uomo è lì che pensa al suo difetto, l'impazienza. Il magistrato è lì che si consola con il lato migliore, la tenacia. E il poeta che fa? Finalmente può abbandonarsi alla sua vanità. Ps. Senza dimenticare la battaglia dei prossimi due anni prima della pensione, quella per la banda larga che consentirà all'Italia delle Comunicazioni di non rimanere indietro rispetto agli Stati che investono sul futuro e ai privati non si tengono stretti i loro debiti sperando di continuare a dettare le regole. E dopo? Solo viaggi e niente politica. Anzi un libro in uscita sul dietro le quinte della politica.

Dai blog