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Futurismo: quella dottrina di vita che Mussolini guardò con diffidenza

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Ilfuturismo fu un atteggiamento verso la vita, un modo di porsi nei confronti della società e della civiltà tradizionali. Gli studiosi hanno voluto rintracciare i padri nobili dell'ideologia futurista nella teoria della violenza di Sorel, nel superomismo di Nietzsche, nell'individualismo di Stirner, nel vitalismo di Bergson, nella filosofia dell'azione di Blondel e via dicendo. Si è trattato di una operazione fuorviante. In realtà il futurismo è la manifestazione vistosa di una eccezionale "crisi di trapasso". La sua nascita e il suo sviluppo possono essere compresi, come ha fatto rilevare Renzo De Felice, solo attraverso il collegamento con una situazione storica, caratterizzata da fattori interagenti: la crisi di modernizzazione e il processo di massificazione; la velocità e grandiosità delle trasformazioni tecnologiche, culturali, sociali ed economiche; l'importanza assunta dalla "macchina" in ogni campo. Alla "crisi di trapasso" il futurismo reagì non opponendovisi, ma cavalcando la tigre della "crisi" stessa e sottolineandone la bellezza e le potenzialità liberatorie. Non in quanto ideologia, ma in quanto atteggiamento verso la vita, il futurismo si interessò di politica. Agli inizi e fin quasi allo scoppio della guerra mondiale, il suo impegno fu limitato, riflesso di una concezione etico-estetica della vita e dell'uomo, piuttosto che frutto di una elaborazione dottrinaria. La prima presa di posizione riguardò le elezioni del 1909 e si concretizzò in un Manifesto politico futurista. Seguirono le manifestazioni irredentiste del 1910, nonché l'impegno per la campagna di Libia e la diffusione, per le elezioni del 1913, di un Programma politico futurista che vagheggiava "un popolo orgoglioso di essere italiano" e ribadiva il concetto della "guerra, sola igiene del mondo". Si ebbe, quindi, la stagione dell'interventismo e delle "serate futuriste": una stagione che vide partecipare i futuristi alle agitazioni promosse dall'interventismo rivoluzionario. Ad essa sono riconducibili i primi incontri di Marinetti con un Mussolini, allora critico e diffidente nei confronti di quel movimento. L'impegno politico vero e proprio maturò nell'ultimo scorcio del conflitto e nel dopoguerra. Dai testi di Marinetti e dei futuristi emergono alcuni capisaldi teorici. In primo luogo, l'antisocialismo, motivato dalla convinzione che il socialismo rappresentasse un pilastro della società passatista. In secondo luogo, la simpatia per il sovversivismo irregolare di sinistra, a cominciare da quello anarco-sindacalista e libertario. In terzo luogo, l'antiparlamentarismo, diretto non contro la rappresentanza parlamentare ma contro le sue degenerazioni e contro la corruzione, la banalità, il passatismo che caratterizzavano i parlamenti definiti da Marinetti "pollai rumorosi". In quarto luogo, l'antifemminismo inteso come polemica contro il "romanticismo del chiaro di luna" e non come posizione contro la donna, cui avrebbero dovuto essere concessi gli stessi diritti dell'uomo, a cominciare da quelli elettorali, e che avrebbe dovuto essere liberata dall'autorità maritale, garantita dal divorzio e dal libero amore. In quinto luogo, l'anticlericalismo spinto fino al progetto di "svaticanamento" dell'Italia. In sesto luogo, la polemica contro il culto del passato, che si risolveva nell'antiromanità, nel cosmopolitismo, nell'elogio del meticciato. All'origine vi era un comune stato d'animo, favorevole a un incontro di fatto più funzionale alla strategia politica dei fascisti. Mussolini, anni dopo, in pieno regime, definì Marinetti "rivoluzionario in servizio permanente effettivo". Nel fascismo il fondatore del futurismo aveva intravisto la spinta rivoluzionaria, repubblicana, anticlericale, che considerava essenziale al suo movimento. Tuttavia, all'inizio, non nutrì molta stima per Mussolini e ne diffidò, al punto, da annotare, tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre 1918, nei Taccuini un giudizio feroce: "Sento il reazionario che nasce in questo violento temperamento agitato pieno di autoritarismi napoleonici e di nascente disprezzo aristocratico per le masse. Viene dal popolo e non lo ama più. Tende all'aristocrazia del pensiero e della volontà eroica. Non è gran cervello". Tra lui e il capo del fascismo si instaurarono, però, un'amicizia e una solidarietà che, al di là delle differenze, spiegano l'impegno politico di Marinetti e di molti futuristi, fino alla partecipazione alla Repubblica sociale italiana.

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