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L'incantesimo di Bocelli tra le pietre del Colosseo

Andrea Bocelli e Angela Gheorghiu, concerto al Colosseo per l'Abruzzo

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Quando era entrato per le prove, Bocelli aveva giurato di «sentire» le pietre del Colosseo, con tutto il loro millenario «carico di dolore». Perché nessun luogo è mai davvero eguale per tutti, e una voce che cerchi un'armonia inarrivabile percepisce il coro perpetuo di chi ha vissuto il lutto e la speranza, lì sulla soglia dove la vita combatte con l'ombra. Nessuno scenario al mondo avrebbe potuto caricarsi di significati come l'Anfiteatro Flavio, per dare senso a una serata dove l'Abruzzo è il destinatario di un messaggio di solidarietà che non smette di rinnovarsi, ma che ne riverbera mille altri, nel tempo e nello spazio. Milly Carlucci ricorda che neppure un antico, devastante terremoto era riuscito a buttare giù questo monumento, dalle fondamenta impastate nei sassi, nelle lacrime, nel sangue, e nella voglia di non cedere davanti a nulla e nessuno. E Bocelli, di suo, canta accompagnato dall'orchestra sinfonica della regione oltraggiata dal sisma d'aprile. Il direttore Marcello Rota e i suoi musicisti hanno visto sparire il Conservatorio dell'Aquila sotto le macerie, con tutti i loro strumenti. Ma sono qui, in una serata in mondovisione (organizzata a tempo di record dalla Rai con il sostegno del Campidoglio), e più del contributo finanziario dei 380 invitati (che hanno pagato mille euro a testa), a motivarli è la certezza che nessuno schiaffo della terra, per quanto roboante, potrà mai far tacere l'armonia profonda dello spirito. Per questa sua perfomance, Bocelli non ha mancato di scavare tra le allusioni del dramma. Il titolo stesso dell'evento, "L'alba separa dalla luce l'ombra", è tratto dal ciclo delle "Quattro canzoni d'Amaranta" musicate dal compositore ortonese Paolo Francesco Tosti e impreziosite dalle liriche del pescarese Gabriele D'Annunzio. Il Vate aveva tratto ispirazione dal suo amore tormentato per Giuseppina Mancini Giorgi, la sua "Giusini", che era maritata a un conte, e che dopo averlo seguito alla Capponcina divenne folle per amor suo. Bocelli intona il secondo dei frammenti d'Amaranta, quello che termina con i versi "che dal sangue mio nasca l'aurora, e dal sogno mio breve il sole eterno!". E la citazione, segreta, tragica e sensuale, si insuina sotto pelle, come un lampo nella notte di Roma. Per il tenore quello del Colosseo è uno dei tre "special events" italiani dell'anno: il primo luglio sarà nella cornice veneziana di piazza San Marco, e il 18 dello stesso mese rispetterà il classico appuntamento nel suggestivo "Teatro del Silenzio" della sua Lajatico. Ma ora c'è da onorare un concerto che è una primissima, per la lirica (anche se Cesare Bergonzi rivendica ancora una sua apparizione tra gli archi gladiatori, 56 anni fa), mentre nel 2003 dentro l'arena risuonò - in veste unplugged - il rock inossidabile di Paul McCartney. Lo show ammicca comunque al colto e all'inclita: c'è lo start con Totti (registrato) che chiede "Andrea, facci sognare", e c'è la lettera di Napolitano, che non è nel parterre du roi, ma loda un'iniziativa che «guarda opportunamente oltre l'emergenza, ad aspetti essenziali della vita delle comunità», scrive il presidente della Repubblica, «come quelli del dispiegarsi del tessuto culturale, di cui la musica è parte così rilevante, e della fruizione del patrimonio storico-artistico, la cui cura e ricostruzione richiedono un'attenzione intensa e durevole». Ci sono gli attori chiamati a raccontare le storie del terremoto - Virna Lisi, Leo Gullotta, Luca Ward - e il geologo Mario Tozzi. Ma Bocelli è mattatore assoluto: laddove tanti suoi colleghi, sopratutto nel recinto pop, hanno preferito mischiarsi, solidarizzare, organizzare adunate canore, lui si è defilato, in questo così diverso dal Pavarotti che con le rockstar amava duettare, a volte in modo davvero incongruo. Per il toscano, invece, solo il supporto dell'orchestra di Rota, del Nuovo Coro Sinfonico Romano, e qui e là del contrasto mirabile dei toni con il soprano romeno Angela Georghiu. Lei, una talentuosa pin up della lirica, si offre insieme ad Andrea in "Non ti scordar di me", nella "Musica proibita" di Gastaldon, nel "Panis Angelicus" (da Franck, con le parole di San Tommaso d'Aquino) e da sola nella sublimità pucciniana di "O mio babbino caro" dal "Gianni Schicchi". Bocelli vola sul "Tu amor" del concerto de Aranjuez, sulla "Pira" del "Trovatore", e gigioneggia su "Mamma" e gli evergreen napoletani del "Surdato 'nnammurato", "Santa Lucia Luntana" e l'immancabile "Funiculì funiculà". È il repertorio che gli garantisce standing ovation globali: nell'appena conclusa tournée sudamericana, Bocelli ci riempiva gli stadi. A telecamere spente, regala agli ospiti vip anche un sontuoso bis con "Nessun dorma". Al Colosseo c'era un solo grande assente: Franco Zeffirelli, bloccato dagli acciacchi. Ma il video che il regista ha girato per rilanciare l'immagine di Roma nel mondo è praticamente completato: con la scena, vezzosa e maramalda, del bacio tra Bocelli-Cavaradossi e Monica Bellucci-Tosca. Dopo il quale il tenorissimo commentò: «Pensavo che la vita mi avesse già offerto tutto, invece non è così». E ancora non aveva cantato tra quelle pietre che risuonano di secolare tormento. Stefano Mannucci

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