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Montecassino Le voci della Storia

Veterani di guerra

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Numerosi militari, alcuni anche in divisa d'epoca, hanno reso onore ai caduti; alla cui memoria si sono rivolti anche il Presidente Lech Kaczynski e il suo Ministro della Difesa. Commovente lo stupore nel vedere, seduti gli uni affianco agli altri, i veterani della battaglia, polacchi e tedeschi, che oggi, non più nemici, si stringono la mano e si guardano negli occhi stanchi, con sincero rispetto. Hanno il volto sereno, e sono quasi sorpresi quando gli si chiede di raccontare. Ma lo fanno subito, con grande semplicità, senza retorica; perché per loro storia non ha misteri. Sono loro, la Storia. Tadeusz Maller, geniere polacco, addetto al ripristino delle linee telefoniche distrutte dai combattimenti: «Era terribile. Il fuoco dell' artiglieria era intensissimo. La notte era illuminata a giorno, come una tempesta. Vidi tutto il bombardamento dell'Abbazia.  Del resto la situazione era molto difficile e deprimente perché gli alleati da tempo cercavano di conquistare Montecassino, ma senza riuscirci. Ricordo i prigionieri tedeschi e non avevo nei loro confronti cattivi sentimenti, perché erano soldati, come me. Nessuno di noi aveva scelto di combattere e anche loro vi erano obbligati e dovevano obbedire agli ordini. Da tempo volevo tornare a Cassino, rivedere questi posti. E spero di trovare le tombe dei miei amici. Ma chissà, forse sono tra i militi ignoti, magari qualche bomba li avrà fatti a pezzi e non hanno una lapide con il loro nome». Tomasz Marszalek, polacco, ci invita a seguirlo dove sono i suoi compagni. Di fronte a due lapidi. «Ero della III Divisione Carpazi e ho combattuto per la conquista della quota 593. Durante i combattimenti molti cadevano e morivano con la faccia schiacciata a terra. Ricordo il sangue, tanto sangue, dappertutto. E poi le grida di chi piangeva e chiamava "mamma, mamma". Noi eravamo tutti più anziani e i paracadutisti tedeschi erano invece molto giovani e quando li abbiamo fatti prigionieri, avevano una gran paura e piangevano. Noi davamo loro sigarette e da mangiare e dicevamo "non abbiate paura, per voi la guerra è finita". Considero l'Italia come una seconda patria. E sono sempre contento di tornare a trovare i miei amici. Ho visto tanti giovani morire e ogni giorno mi chiedo "perché io sono ancora vivo?"». Herbert Fries, paracadutista tedesco, arrivò a Cassino nel 1944 e festeggiò il diciannovesimo compleanno in prima linea. «É inconcepibile quello che è successo nella battaglia di Cassino. Il nostro primo pensiero era salvare la pelle, anche perché eravamo in minoranza. Ma eravamo giovani e incoscienti e non avevamo tempo per avere paura. Ho visto bene il bombardamento dell'Abbazia e ho pensato che fosse una follia. Noi sapevamo cosa significasse il Monastero e che dentro non c'erano soldati tedeschi. Come si è potuto distruggere un edificio di tale importanza? Questa di Cassino per noi è una ricorrenza molto dolorosa. Ma la nostra presenza dimostra che c'è la volontà definitiva di riappacificarsi. I nemici erano solo soldati come noi». Völk Herman era un tenente dei paracadutisti tedeschi e dopo la guerra è diventato sacerdote. «Mi trovavo dentro l'Abbazia e l'ho lasciata quando è arrivato Anders, il Generale delle truppe polacche, con i suoi uomini. Quando hanno bombardato l'Abbazia ho smesso di pensare. Siamo andati verso il monastero, c'era una grande foschia, non vedevo nulla. Ho oltrepassato un promontorio roccioso e solo allora ho visto le rovine. Con i miei uomini abbiamo respinto un attacco dei neozelandesi, ma dopo il bombardamento non avevo parole. Se non si capisce a fondo l'insegnamento di San Benedetto "ora et labora", tutto il peggio che qui è accaduto, potrà tornare ad accadere di nuovo». La battaglia di Cassino ha sconvolto la vita dei borghi della zona, in cui anche la popolazione civile è stata travolta dalla devastazione bellica. Racconta Michele Pascarella: «Il mio primo ricordo della battaglia è la pioggia di bombe e di cannonate, mentre noi eravamo rintanati in ricoveri di fortuna. Molti civili vi rimanevano sepolti vivi. Un tedesco alla fine della prima battaglia ci suggerì di scappare perché era consapevole che per loro la guerra era persa e sapeva che a primavera sarebbero iniziati scontri più violenti. Era un brav'uomo, veniva spesso a pregare con noi e siccome era un cantante, per dissolvere la paura ci intratteneva con canzoni. Un giorno prese in braccio la mia sorellina e la mostrò a mio padre e disse "perché lei deve morire?". Allora mio padre decise che ce ne saremmo andati in zone più sicure. Ho visto il bombardamento dell'Abbazia. Era una limpida mattina di sole e potevo contare le bombe una ad una. Lo spostamento d'aria delle esplosioni produceva nel cielo onde. Come quelle dell'acqua di uno stagno se ci tiri un sasso. Era come se ci distruggessero la casa. Non me l'aspettavo. Era risaputo che i tedeschi non c'erano nel Monastero, dove invece c'erano nostri amici e parenti. Parafrasando un verso di una poesia, noi "eravamo persone inermi tra eserciti in armi"».

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