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Paolo Poli: "La mia terza età? Può essere anche bella"

Paolo Poli

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{{IMG_SX}} Paolo Poli con «Sillabari» porta da oggi al 10 maggio al Teatro Eliseo l'omonima raccolta di racconti dedicata da Goffredo Parise all'Italia degli anni 40-60. Non senza definirsi peraltro quasi centenario.  Quanti anni ha in realtà? «A maggio avrò 80 anni e lavoro in proprio da quando ne avevo 30. Un mezzo secolo di '900. Il secolo mio. Di questo 2000 non capisco un granché. Perché sono vecchio. Vivo meno a contatto con la storia e con tutti. La vecchiaia poi può essere anche bella. Già mi hanno rotto tanto le tasche da giovane con Giovinezza, primavera di bellezza... Ora di nuovo il giovanilismo. Bevi giovane, resti giovane. Si vede della gente ridicola». Lei parla del suo irrimediabile infantilismo congenito? In che senso? «Il teatro somiglia un pò al gioco dei bambini che danno da mangiare alle bambole anche se sanno che la bambola non mangia. E io mi ci trovo benissimo». Anche sua sorella fa l'attrice. Come lo spiega? «Mia madre era una maestra montessoriana e le sue classi, 60 bambini per volta, le interessava, le divertiva, sapeva comunicare con molta allegria. E credo che sia io che Lucia somigliamo a mia madre».  Il suo teatro ama ripercorrere la letteratura. Ora affronta Parise. Ce ne può parlare? «Un uomo non può fondare la sua vita solo sull'esperienza diretta. La letteratura è stata un grande aiuto. Parise poi era un uomo molto discreto, con molto ritegno. Mi fa pensare a Manzoni, il quale, pur essendo dell'800, quando c'era il protagonismo dello scrittore, non parla mai di sé. Io l'ho conosciuto attraverso Laura Betti, insieme a Pasolini. Erano entrambi veneti, venuti a fare i professori a Roma e poi passati al cinema. Mentre Pasolini ha scoperto il linguaggio fulminante dei Ragazzi di vita, Parise ha scoperto la divina semplicità dell'infanzia». Come ha visto cambiare il teatro in tanti anni? «Io non vedo nulla di teatro. Faccio più di 200 repliche l'anno, dall'Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno. Ho vaghe informazioni e mi vengono dai vigili del fuoco. Chiedo com'era lo spettacolo e loro: era molto moderno. Non c'erano mobili. Così, in corpore vili, mi raccontano quello che vedono. E poi io sono sempre stato un privato, ho sempre fatto coi miei soldi senza quelli dello Stato. Quindi non entro nella diatriba suscitata da Baricco con la sua alzata d'ingegno. Non mi interessa. Sono già fortunato che faccio un mestiere che mi piace e che ho scelto».

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