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Lavia, Macbeth oggi

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Quarantasei anni dedicati al teatro ventiquattro ore su ventiquattro sono il patrimonio esistenziale con cui Gabriele Lavia è interprete e regista, da stasera all'Argentina, del «Macbeth» shakespeariano in cui emerge la tragedia di un tempo umano fatto di paura in cui un uomo vive nell'incertezza di essere e di non esser mai nulla. Un'occasione scenica in più per riflettere sulla vita e sull'arte in un Paese in crisi economica e morale. Cosa insegna «Macbeth» ai nostri tempi? «L'importanza di Shakespeare nella cultura occidentale è dovuta al fatto che mette in scena l'interrogativo dell'essere che ci ha arrovellato da Parmenide ai giorni attuali. In Macbeth si affronta l'incertezza dell'essere e il bisogno di essere qualcosa con la consapevolezza del protagonista di non riuscire a essere un re autentico, ma un usurpatore che deve acquistare certezze attraverso il fare. È il primo politico del fare anche se la sua azione è criminale. Il suo assassinio non è tanto quello dei nemici, ma dell'essere. L'uomo della modernità, dalla scoperta dell'America, sempre di più è condannato a fare, allontanandosi dalla certezza dell'essere».  Ha ancora senso il teatro? «Lo sguardo sull'essere può accadere solo in teatro. Il teatro è il luogo dello sguardo su se stessi e sulla propria ipseità nell'insieme dell'essere con tutti gli altri. È il punto più alto e profondo dell'invenzione umana». La tecnologia ha cambiato il mondo? «Tutto il pensiero si è appiattito a livello tecnico e scientifico: si usano i computer e tanti altri strumenti, ma nessuno sa più nulla dell'essere umano. Il teatro, la poesia e l'arte sono le uniche vie per ricordare chi siamo». Come valuta le dichiarazioni di Baricco sulla necessità di togliere i finanziamenti alla prosa per devolverli alla scuola e alla televisione? «Baricco è una persona che stimo, ma non si occupa di teatro. Io non parlo pubblicamente di letteratura, di elettricità o di sport. Per parlare di teatro bisogna essere competenti e spenderci tutta la propria vita. Trovo che la sua idea, anche soltanto provocatoria, di non sovvenzionare il teatro sia una tale stupidità da non avere parole per definirla. Non si può ridere delle ferite altrui. Il teatro se la passa molto male e Baricco molto meglio». In quale direzione va la cultura italiana? «Vivrà un periodo bruttissimo perché non ci sono soldi. L'anno prossimo sarà anche peggio. Infelice quel Paese in cui lo Stato non si occupa della cultura! Sarebbe una barbarie se riducesse il suo interesse, già così scarso. A teatro vanno solo due politici: Gianni Letta e Bertinotti. È nella loro educazione e questo dà loro una speciale eleganza. Sarebbe bello se uno di loro fosse il responsabile del settore teatro, ma il talento italiano è la persona sbagliata nel posto sbagliato».

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