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Veline no grazie, meglio la fisica

Le menti in rosa

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{{IMG_SX}}Si definisce una persona normale, anzi "super" normale. E magari a guardarla, con gli occhialini ovali, il sorriso dolce e i capelli castani che le incorniciano il volto, credi che sia così. Ma ecco che inizia a parlare di particelle, protoni, teorie, esperimenti nucleari, e allora tutto cambia, e ti rendi conto che hai di fronte una mente brillante, geniale. Una scienziata che non ha niente a che vedere con le immagini stereotipate dei "cervelloni" spettinati e un pò svitati che raccontano film e cartoni animati. Anna Di Ciaccio, 52 anni, romana, è professore associato al Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma Tor Vergata e ricercatore dell'Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), ma soprattutto è una donna che ha raggiunto traguardi che sembrano inarrivabili ai più. Inoltre è anche responsabile del gruppo di ricercatori dell'Università di Roma Tor Vergata che lavorano all'esperimento Atlas all'Lhc (Large Hadron Collider) di Ginevra, per lo studio delle particelle elementari. La nuova macchina acceleratrice di particelle, basata al Cern di Ginevra, riprodurrà infatti lo stato della materia subito dopo il Big Bang. "Un esperimento a cui stiamo lavorando da 20 anni e c'è una grande attesa per l'arrivo dell'autunno quando la macchina ricomincerà a funzionare" (l'esperimento iniziò lo scorso anno, ma per colpa di un guasto fu interrotto n.d.r.). Come nasce questo amore profondo per la fisica? «Andavo ancora al liceo, quando un giorno lessi un articolo in cui si diceva che ai Laboratori dell'INFN di Frascati era stata osservata una nuova particella scoperta pochi giorni prima negli Stati Uniti. Questo evento mi colpì e affascinò tantissimo: per una volta eravamo "alla pari" con gli americani. Così decisi di iscrivermi a Fisica». Che ricordi ha di quegli anni? «Bellissimi, ho studiato con grandi insegnanti, come Amaldi, che fu un collaboratore di Enrico Fermi, Conversi e Salvini con cui ho preparato la tesi. Studiavo molto, diciamolo pure, ero una "secchiona" e poi ero in sana competizione con la mia gemella, pure lei iscritta a Fisica ed che ora insegna in un'Università francese». Lei non è solo una scienziata, è anche una moglie, e una mamma. Come riesce a conciliare tutto? «Ci vuole una ferrea organizzazione, perchè viaggio molto e la valigia è la mia compagna di vita. Sono fortunata perchè mio marito fa il mio stesso mestiere quindi ci "capiamo". Pensi, lavoravamo tutti e due al Cern ed avevamo l'ufficio nello stesso edificio, ma su piani diversi e non ci eravamo mai visti. Ci siamo conosciuti grazie a un amico comune. E poi devo molto a mia madre che ha seguito tanto mia figlia. Oggi ha 16 anni, capisce il mio lavoro e tutto il tempo libero che ho lo dedico a lei». Qual è l'emozione più forte che ha vissuto nel suo lavoro? «Fu a Ginevra, al Cern quando collaborai all'esperimento UA1 guidato da Carlo Rubbia. Fu per me un'emozione indescrivibile, seconda solo alla nascita di mia figlia». E adesso Atlas. «Sì, sono 20 anni che lavoriamo a questo grande progetto internazionale: Atlas è uno dei quattro grandi rivelatori che operano sull'Lhc. Dopodiché i quattro esperimenti, come potentissimi microscopi in grado di penetrare nella più intima dimensione della materia, osserveranno i diversi tipi di particelle sprigionate dalle collisione tra protoni accelerati ad altissima energia. Il goal principale è quello di osservare nuove particelle, come per esempio il bosone di Higgs, il tassello mancante della teoria chiamata "Modello Standard". Pensi che solo il gruppo di cui faccio parte ha progettato e collaborato alla costruzione di più di 7000 mq di rivelatore». Lei ama molto il suo mestiere, che consiglio da ai giovani che si avvicinano alla materia? «Di non aver paura nell'affrontare studi impegnativi e di lavorare tenacemente, credendo sempre nelle proprie idee e di mettersi in gioco. E chissà che qualche studentessa, leggendo questa intervista, come è successo alla professoressa Di Ciaccio, non sia colta da un'irrefrenabile passione per protoni e particelle. D'altronde non si può sognare solo di far le veline».

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