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Uno e centomila Inafferrabile Graal

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DiGraal si parla troppo e ormai quasi non se ne può più. Come delle piramidi, dei Templari, degli extraterrestri e del "nazismo esoterico". Prendete le trasmissioni cosiddette culturali della Tv: pare che al mondo non ci sia altro, che nella storia non sia mai accaduto nulla di diverso. Eppure, sorpresa!, più se ne parla meno la gente ci capisce. E allora, vediamo di capirci. Facendo attenzione ai piani concettuali: la parola, la storia-leggenda, il mito. La parola Graal si afferma in un romanzo scritto nell'idioma francosettentrionale in pieno XII secolo ed ha equivalenti un po' in tutte le lingue neolatine. L'originale termine è gradalis, termine che può significare "coppa", ma anche "piatto fondo" o "zuppiera". Pensate alle "grolle" valdostane: la parola è la stessa. La storia del Graal è quella di una leggenda letteraria. L'avviò nella seconda metà del XII secolo un poeta-romanziere della Francia centrosettentrionale, Chrétien de Troyes, protetto da Maria contessa di Champagne figlia di Eleonora duchessa d'Aquitania. Il suo Graal è un prezioso vaso che contiene un'ostia consacrata con la quale si sostenta un misterioso re ferito e sofferente. Altri romanzieri raccolsero l'invito lanciato da Chrétien: da Robert de Boron a Wolfram von Eschenbach a molti autori restati anonimi. Il Graal divenne così una gemma caduta dalla corona di Lucifero oppure la coppa dell'Ultima Cena: ricettacolo del sangue del Cristo e oggetto mirabile, miracoloso. Ma ogni poeta aveva il suo nobile protettore: così, la cerca del Graal entrò anche nelle storie delle grandi dinastie. E nella politica. Nel Duecento, il secolo della lotta della Chiesa contro l'eresia catara (che condannava tutta la materia come Male) e dell'affermazione del culto eucaristico, la leggenda del Graal divenne con la sua forza uno dei veicoli più forti del culto del Sangue del Cristo. I sognatori della Sacra Coppa, oggi, vanno a visitare Avallon-Glanstonbury, Caamelot e Tintagel: forse, sarebbero più vicini al vero se meditassero sul "miracolo di Bolsena" e sul Santo Sangue custodito nella cattedrale di Orvieto. La sua straordinaria, arcana forza, ha infine fatto entrare il Graal nel mito: esso è conosciuto presso infiniti popoli in non meno infinite varianti, come il mirabile oggetto che può creare inesauribile ricchezza - la Cornucopia greca, il "calderone magico" celtico, la coppa regale persiano-islamica, le "tavole della legge" etiopiche, il sampö finnico e via dicendo - e che, in realtà, è un simbolo di saggezza e di potenza universali. Scomparso verso il Cinquecento - per la Chiesa cattolica era sempre stato una presenza imbarazzante, mentre in quanto reliquia era inviso ai protestanti - il Graal tornò nel mondo dei miti celtogermanici ricostruiti dal romanticismo e fu riletto da Richard Wagner in una strana chiave sincretica germano-buddhista. Esoteristi, occultisti e ora cultori del new age se ne sono impadroniti. Attraverso Rahn, Eliot e Tolkien, continua a turbarci e a farci sognare. Ingarbugliato? Difficile? Niente di tutto questo. Semplicemente, ineffabile.

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