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Perché porto Gaber nelle scuole

Giorgio Gaber

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{{IMG_SX}}E la Fondazione Gaber, l'opera del signor G, attraverso lezioni-spettacolo che racconteranno alle giovani generazioni la sua figura e la sua opera. So che l'iniziativa del ministero ha provocato qualche malpancismo nei «gaberiani» di più stretta osservanza, che temono il rischio di «normalizzazione» della figura di Gaber. E rilevo anche che, dal Nobel Dario Fo a Franco Battiato, sono arrivate parole di apprezzamento verso questa iniziativa. C'è chi ha detto addirittura, dimostrando di non conoscere nemmeno il progetto, che vedere Gaber senza Gaber diventa riduttivo e che è meglio un supporto audio originale o un dvd, senza sapere che durante la lezione-spettacolo nelle scuole si proietteranno anche i suoi filmati storici. O chi invece ha applaudito, a prescindere, perché un grande artista del nostro tempo entra nelle classi. Devo dire che a dubbi e perplessità su questa iniziativa, assolutamente non politica come pure è stato insinuato, rispondo con uno dei suoi grandi insegnamenti, ricordato recentemente anche dalla figlia del Signor G: per cambiare le cose non si può stare fermi in poltrona. A chi si chiede perché abbiamo scelto di diffondere nelle scuole un progetto proprio su Giorgio Gaber, a settant'anni dalla sua nascita, dunque, rispondo tre cose: anzitutto nessuno lo ha mai fatto prima a livello istituzionale. Secondo: la Fondazione Gaber ha proposto questa collaborazione e noi abbiamo accettato. Terzo e forse principale motivo: sono dell'idea che la figura di Gaber e la sua opera possano insegnare moltissimo ai nostri ragazzi. Credo sia importantissimo portare a conoscenza degli studenti, che mai hanno avuto la fortuna di vederlo a teatro dal vivo, il lavoro di un artista che tramite il suo sforzo intellettuale ha insegnato a pensare, al di là degli schemi e delle ideologie. Gaber era un libero pensatore. E con il passar del tempo, in un mondo sempre più omologato, credo di poter dire che è cresciuto il suo valore di battitore senza frontiere: è stato un artista che non ha corso mai dietro alle mode, che ha offerto sempre riflessioni profonde sul nostro Paese. Un esempio raro di onestà intellettuale. Cosa sono i suoi spettacoli, che mescolavano canzoni a monologhi, se non una fonte di ispirazione per le nuove generazioni? Cosa sono, se non uno stimolo per comprendere l'evoluzione della società italiana nel corso degli ultimi decenni? La voglia di libertà, la ricerca di partecipazione, una certa passione per gli intellettuali, senza mai risparmiare l'ironia verso i luoghi comuni che circondano le categorie della politica, ne fanno un esempio di non omologazione, destinato a perdurare nel tempo. Gaber seppe, infatti, coniugare la capacità di esser scomodo con quella di non essere mai subalterno. Lo spirito critico, la curiosità, la libertà assoluta dagli schemi e dalle convenzioni ne fanno dunque un esempio di libertà, ma anche di rigore. Anticonformista sì, ma non trasgressivo per trasgredire e mai irrispettoso della realtà che lo circondava e che osservava con ironia e, qualche volta, con malinconia. Il suo anticonformismo ha sempre portato ad un'analisi realistica, anche amara, sulla nostra società. Ed è per questo che abbiamo scelto di collaborare con la Fondazione che porta il suo nome, per istituzionalizzare la figura di un artista che è stato, per lungo tempo, l'inascoltata (almeno nei contesti "ufficiali") coscienza critica del nostro Paese. Una coscienza mai opportunista. Non a caso qualcuno lo ha definito l'ultimo intellettuale italiano capace di parlare alla gente comune. E, dunque, e ancor di più, capace anche di parlare alle giovani generazioni. Realismo, speranza, valori, libertà. Credo che Gaber si possa riassumere anche così. Come artista non ha mai voluto «insegnare» nulla, come dichiarava esplicitamente. Ma ci ha insegnato valori come il credere in noi stessi, rispettando gli altri. Diceva «non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente. Stategli sempre vicini, date fiducia all'amore il resto è niente». Noi ci proviamo, certi di non tradirne la memoria.

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