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Zeffirelli: "Il male della lirica è lo Stato"

Franco Zeffirelli

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Standing ovation per un Franco Zeffirelli commosso che, al braccio del direttore d'orchestra Daniel Oren, nella doppia veste anche di direttore artistico del teatro, si rivolge agli spettatori del Verdi: «Nella vita accettate il bello in tutte le forme in cui vi si presenterà». Così saluta il pubblico, in questa serata speciale, e, davanti ad una gigantesca torta con 50 candeline, dice «Avrei voluto che ci fosse anche Maria (la Callas n.d.r.) a spegnerle con me, questa serata è anche per lei». Non solo una prima, quindi, con un allestimento creato ad hoc per il teatro campano ma anche l'occasione per festeggiare i 50 anni dal debutto della prima Traviata firmata Zeffirelli e interpretata dalla Callas a Dallas nel '58. Franco Zeffirelli, polemiche alla Scala e successo romano di Riccardo Muti, qual è il suo commento? «È stato uno sgambetto quello di Muti e a Roma gli hanno prestato il fianco, tra Roma e Milano c'è sempre stato un grande antagonismo teatrale. Si poteva scegliere un'altra serata, una ripicca che un grandissimo come Muti poteva risparmiarsi». Del cambio all'ultimo momento del tenore della Scala cosa pensa? «Sono furibondo, parlo per canoni puramente estetici. Bisogna mettere una legge, non scherzo, i cantanti non devono superare un certo peso (si riferisce al tenore che ha sostituito Filianoti, l'americano Stuart Neill n.d.r.). Sessant'anni fa Maria Callas dette l'esempio al mondo: obesa ma con grande forza di volontà perse in un anno e mezzo 35 chili. Il grasso non aiuta a cantare meglio».   E con Big Luciano come la mettiamo? «Era l'unico con cui non ci permettevamo prese in giro. A Luciano si perdonava quasi tutto. Il suo viso esprimeva la gioia, per non parlare delle doti vocali. Nonostante ciò due volte non lo scelsi per le mie opere proprio per questioni di peso».   Una ricetta per i teatri italiani in crisi? «Sono tutti grandi botteghe di sprechi. Bisogna dimezzare, sia pure con dolore, gli impieghi inutili. Per non parlare del problema più grave che affligge i teatri lirici, ovvero l'ingerenza dello Stato ed anche il suo intervento».   E l'attuale politica culturale ? «C'è una crisi che riguarda tutti dall'India al Giappone, dall'Inghilterra alla Francia. Sono arrivati i nodi al pettine di quello che aveva detto Roosvelt durante la crisi del '29 ovvero la guerra tra quelli che hanno e quelli che non hanno. Ci hanno massacrato i consumi ed i beni fatui. In Inghilterra ed in America non esiste il Ministro della Cultura, la cultura è una competenza del cittadino: c'è ciò che è bello, riconosciuto, e quello che non lo è. Solo ripristinando il principio che la politica non deve entrare nello sviluppo delle arti qualcosa si può risolvere».   Maestro, nei teatri artisti o manager? «Intanto cacciare tutti quelli che ci sono. La struttura teatrale è ormai un campo profughi. È necessario eliminare le infiltrazioni statali e rimettere tutto nelle mani delle province, dei comuni e degli sponsor locali. Lo Stato deve smettere di prendere le tasse dai teatri. È stata una politica inventata dai catto-comunisti che si spartivano questo potere».   Esempi positivi ? «Ho vissuto e lavorato in teatri dove lo Stato non ha mai messo piede: Londra, New York e sono abituato a non dover dire grazie a nessuno. Che vadano tutti a casa, il peggiore in senso assoluto come Ministro dei Beni Culturali è stato Rutelli».   Qualche esempio italiano? «La politica che adotta questo teatro, per esempio, il Verdi, in una città del Sud. In tutta la stagione questo teatro ha avuto una fioritura eccezionale. Oltre me, il maestro Oren, ed appena tre sere fa il grande successo del tenore Florèz, di fama mondiale e difficilissimo da avere, tra pochi giorni sarà la volta di Maazel, insomma tutto dovuto ad una scommessa culturale voluta da un bravo sindaco e da un direttore artistico come Oren».   Prossimi appuntamenti? «Vorrei tornare qui con L'Aida, qui mi sento coccolato ed ho trovato una bella compagnia».   Cosa ne pensa dei registi cinematografici che dirigono opere teatrali? «Nuove leve davvero prive di ogni interesse. Se pensiamo da dove il nostro cinema è partito viene una gran depressione, lo stesso vale per il cinema europeo che non esiste più. La tv ha fagocitato il cinema e l'ha ucciso». Calma piatta per il cinema, dunque, speranze dalla lirica? «Questa è una grande scommessa, basti pensare che il mio Alfredo di Traviata è un giovanissimo tenore russo di appena 24 anni. Talenti veri, per non parlare delle donne, i soprani dell'est… ma anche L'Italia ha ottimi giovani cantanti lirici».   Tagli e polemiche a parte cosa è davvero cambiato nei teatri italiani? «La nostra forza è sempre stata l'Opera, siamo conosciuti in tutto il mondo per questo ma lo abbiamo dimenticato: La Scala per prima ha bisogno degli italiani che molto spesso vendono invece l'anima ai teatri stranieri».

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