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Giorgio Almirante, il gentleman della politica

Giorgio Almirante e Gianfranco Fini

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Nel lunghissimo tempo della sua militanza parlamentare si guadagnò l'ammirazione degli avversari per lo scrupolo con cui preparava i suoi interventi, l'eleganza dell'eloquio, l'intelligenza delle argomentazioni, l'assiduità alla partecipazione ai lavori d'Aula e di Commissione. Fu, insomma, un deputato esemplare, per comune ammissione, capace di criticare, anche duramente l'avversario, ma sempre sottraendosi alla tentazione di offenderlo, disposto, se del caso, a riconoscere le buone ragioni anche di chi non la pensava come lui. Un deputato d'altri tempi che perfino quando fu presidente del gruppo parlamentare, per quasi due anni, si segnalò ai colleghi di partito e agli avversari per l'impegno con cui assolveva il gravoso compito: i deputati missini che arrivavano a Roma il martedì mattina trovavano nelle rispettive caselle alla Camera i compiti assegnati e, talvolta, le tracce degli interventi che avrebbero dovuto svolgere nelle Commissioni; Almirante provvedeva nei fine settimana, tra un comizio e l'altro, a preparare scalette, appunti, riferimenti, precedenti legislativi al fine di mettere in condizione il gruppo di ben figurare e quando qualcuno si assentava, con umiltà lo sostituiva affinché non mancasse, su qualsivoglia provvedimento, il punto di vista del Movimento sociale italiano. Il suo debutto, però, dagli scranni occupati dai cinque deputati missini non fu tra i più felici, come egli stesso confessò nella sua autobiografia, e lo lasciò piuttosto amareggiato ed incerto nelle sue capacità di oratore parlamentare che non era la stessa cosa del «comiziante» che infervorava le piazze, specialità nella quale non temeva confronti nel partito che pure era gremito da oratori affascinanti e trascinatori inimitabili. Prese la parola per la prima volta il 4 giugno 1948 sulla fiducia al quinto governo De Gasperi. Una prova non da poco alla quale, se anche avesse voluto, non si sarebbe potuto sottrarre essendo il leader del Movimento sociale italiano, insomma il capo dei «vinti», come si diceva allora - e si sarebbe detto per molto tempo - di quelli che, secondo l'opinione corrente, non avrebbero mai dovuto mettere piede nel Palazzo dove, invece, entrarono e vi restarono per esplicito mandato popolare. Così Almirante raccontò, con ironia e disarmante sincerità, anni dopo, la sua «prima» a Montecitorio: «Debbo precisare di aver dato inizio alla mia carriera parlamentare con un solenne fiasco: dovuto a presunzione e ad inesperienza... Ritenni che si potesse e dovesse parlare alla Camera come in piazza. Presuntuoso, ma non tanto da arrischiare il massimo, scrissi quello che mi parve un gran bel discorso, lo imparai a mente, lo recitai dinanzi al classico specchio, provai il vuoto tremendo (oh Dio, non ne so nemmeno una parola!) che l'attore prova quando deve recitare la propria parte, inizia con un filo di voce, poi presi a parlare sicuro... Ma mentre parlavo, mentre mi inoltravo sui viali fioriti di quella retorica comiziale che m'era sembrata poco meno che sublime dinanzi allo specchio, mi rendevo conto (me ne faceva avvertito l'ambiente) che si trattava di una formidabile stonatura; cioè di un grosso fiasco. Me lo fece capire, prima e più di tutti, Palmiro Togliatti, che si era fermato in aula per ascoltare il debutto di quel principiante, e che fin dalle prime battute aveva capito tutto, ivi compreso il mio mortale imbarazzo. Mentre io ero condannato a parlare, e non potevo interrompermi né mutare discorso, perché se avessi cambiato una virgola mi sarei fermato del tutto, egli, implacabile mi fissava divertito, faceva cenno a qualche vicino perché stesse a sentire, poi si alzava dal banco, e sempre fissandomi scendeva la scaletta, fino all'emiciclo, con le mani sui fianchi, senza ridere, ma con un compatimento così vistosa da balzare agli occhi. Grazie Togliatti. Dopo quella lezione non ci sono cascato più. Ho preparato le mie scalette e i miei appunti, non ho mai letto, non ho mai recitato a memoria, ho cercato, nei limiti del possibile, di indurre all'attenzione quell'uditorio distratto, sgraziato, impossibile che è di norma il Parlamento italiano». Chi l'avrebbe mai detto: «Almirante debitore di Togliatti nell'acquisizione della tecnica oratoria parlamentare. Scherzi di Montecitorio dove, contrariamente a quanto si è portati a ritenere all'esterno, s'intrecciano rapporti e nascono perfino amicizie tra avversari che non di rado stridono con la polemica politica pubblica a cui normalmente e doverosamente danno vita.

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