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Giannini, l'antipolitico che rese famoso

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«L'Uomo Qualunque»

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Se è bastata una legge elettorale infelice per mettere in crisi la seconda repubblica, nata da Tangentopoli, si comprende perché demagoghi e guitti abbiano un compito facile, nel nome dell'antipolitica che è sempre stata latente, da noi, per colpa del "palazzo". Il pensiero corre istintivamente agli albori della prima repubblica: i tempi non erano certi facili, con le ferite della guerra ancora aperte. In Emilia, nel "triangolo della morte", i regolamenti di conti erano all'ordine del giorno ed i "ragazzi in gamba" del Pci tenevano i mitra ben oliati, in vista della conquista del potere. Il malessere era accresciuto dagli eccessi della classe politica che si era insediata ai posti di comando, dopo vent'anni di emarginazione e di esilio inflitti dal fascismo. Un esercito di epurati era stata la conseguenza di una indiscriminata "caccia al fascista", accompagnata da una altrettanto insensata denuncia dei "profitti di regime", risoltasi, nel novantanove per cento dei casi, in nulla di fatto. In una situazione siffatta, Guglielmo Giannini, commediografo, giornalista, levò il segnale della ribellione. Attorno al settimanale "L'Uomo Qualunque" (nella testata c'era l'immagine di un cittadino torchiato da una pressa), sorse un movimento politico ispirato non soltanto all'anticomunismo, ma anche ad una sistematica svalutazione della classe politica: di qui, per estensione, il termine "qualunquismo". Con la sua "verve" partenopea, il monocolo che lanciava riflessi dardeggianti, il fondatore dell'"Uomo Qualunque" dimostrò coraggio civile e anche fisico, perché c'era sempre il rischio di buscarsi una revolverata. Se ne dissero tante. Memorabile quello che accadde a Montecitorio. Il generale Umberto Nobile, eletto all'Assemblea Costituente nelle liste del Pci, era stato il protagonista della spedizione al Polo Nord col dirigibile "Italia", precipitato sulla rotta di ritorno. Nobile, si era salvato per primo, lasciando i compagni, e Mussolini non glielo aveva perdonato. Un giorno, alla Camera, Nobile e Giannini si trovarono a prendere l'ascensore: il primo entrò, richiuse la portiera e salì da solo, piantando in asso l'altro. Giannini fece di volata tre rampe di scala, per presentarsi all'apertura dell'ascensore: squadrò con piglio severo il generale e gli disse a brutto muso: "Nobile, allora è vizio". Una sera, in un ristorante romano, Giannini scoltò pazientemente il giovane Giovanni Spadolini, logorroico, pieno si sè, votato a un radioso avvenire; al levar delle mense, posò una mano sulla spalla di quel portento e gli disse: «Giovanotto, mi raccomando, scopiamo!». Tale era il personaggio che, intingendo la penna all'acido prussico, ridimensionò più di un uomo politico alle sue reali dimensioni: la rubrica fissa P.d.f. (pezzo di fesso), era un tormento per chi veniva preso di mira. Alle elezioni per l'Assemblea Costituente, l'"Uomo Qualunque" ottenne 1.211.956 voti e più di trenta deputati: ancora più eclatante il successo nelle amministrative a Roma. Due anni dopo, quel patrimonio elettorale si era dissolto, anche per dissidi interni: l'apparentamento con i liberali non funzionò. Si disse che Gugliemo Giannini si era "venduto", alla vigilia della cruciale scadenza del 18 aprile 1948. Certo, i voti dell'"Uomo Qualunque" furono utilissimi per battere il Fronte Popolare di Togliatti e di Nenni. La DC, come è noto, prevalse nettamente, con quasi tredici milioni di voti, attribuendosi 305 seggi alla camera e 115 al Senato. Lo stesso De Gasperi commentò: «Credevamo che piovesse, invece ha grandinato!».

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