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Ronconi: così svelo i misteri nella pittura del '500

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Si inaugura domani nel romano Palazzo Venezia una mostra di Sebastiano Del Piombo, da lui ideata e curata, mentre i due spettacoli più interessanti della sua recente produzione stanno per approdare nella Capitale: il Valle accoglie da lunedì "Inventato di sana pianta" di Broch e l'Argentina ospita dal 15 febbraio il capolavoro "Fahrenheit 451". Perché ha scelto Sebastiano Del Piombo e con quale spirito lo propone al pubblico? «Non è strano per un regista come me dedicarsi a una mostra: è come una messinscena senza attori. Ci sono le opere che non si muovono, ma a modo loro parlano. Mi piace lavorare su quello che non so e Sebastiano del Piombo è un pittore misterioso e poco conosciuto. Vorrei attirare lo guardo del visitatore verso il mondo dell'artista con un effetto finestra creato con due pareti sovrapposte. Chi osserva cerca di andare oltre lo schermo, di vedere quello che c'è al di là e il protagonista del ritratto sembra rivolgersi all'esterno». Da anni privilegia gli allestimenti di testi non teatrali. C'è una ragione? «Mi interessa muovermi fra due territori diversi, ma non antitetici come la drammaturgia e la saggistica. In realtà si può fare teatro di tutto, da un quadro a un pezzo di musica. L'essenza dell'arte scenica sta nella possibilità di comunicare attraverso la rappresentazione, anche ricorrendo a codici non usuali purché si voglia parlare di un tema in sintonia con la sensibilità contemporanea. La modernità non è una riverniciatura o una rivisitazione stilistica, ma un punto di vista inedito». Come seleziona i suoi interpreti? «Valuto il talento naturale, la disponibilità, la curiosità di esperire modalità differenti, l'intelligenza, la condivisione di un'idea del teatro come piacere e arricchimento spirituale. Ogni rapporto con un attore è un unicum: c'è chi va guidato e chi deve essere lasciato agire. Non mi ritengo detentore di un metodo, ma mi adopero per raggiungere il risultato migliore in un obiettivo comune. Vorrei che il mio teatro non separasse la zona intellettuale da quella emotiva, non offrendo reazioni preconfezionate e aiutando la gente a essere se stessa». La situazione culturale italiana la preoccupa? «Sono abbastanza critico su questo periodo storico, ma non pessimista sul futuro. In ogni epoca si prendono abbagli e si operano giudizi sbagliati. Quando la quantità di errori supera il buon senso e la percezione della realtà si arriva a riconoscere il danno e il nostro Paese ha dimostrato spesso capacità di rinascita. Rispetto ad alcuni decenni fa il pubblico è cresciuto e non solo numericamente: è in aumento la richiesta della prosa più impegnata e il teatro può liberarsi dai vincoli dell'intrattenimento e delle mode».

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