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Alberto Moravia,

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borghese «annoiato» del Novecento

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PerchéAlberto Moravia, in fondo, aveva un volto da ragazzo maturo, con i capelli bianchi e la sua andatura claudicante per i postumi di quella maledetta tubercolosi ossea che lo colpì a soli 9 anni, costringendolo a cinque anni di letto, di cui due presso il sanatorio di Codivilla a Cortina d'Ampezzo. Eppure, proprio quegli anni di malattia e solitudine, che non gli permisero di frequentare e continuare la scuola fino alla fine, formarono il suo carattere e la sua cultura. Leggeva molto: Fëdor Dostojeskij, Joyce, Goldoni, Shakespeare, Molière e Mallarmé. E Dante. Imparò da solo le lingue straniere, il francese come l'inglese. Era sempre curato: con una eleganza tutta sua, mescolava pullover di shetland, rosso o azzurro, con camicie scozzesi e giacche di tweed abbinate alle sue coloratissime cravatte. Il gusto per i colori veniva dall'Oriente e dall'Africa soprattutto. Alberto amava il Terzo Mondo, mentre non era attratto dai paesi occidentali, dalle metropoli consumistiche. «L'Africa è la cosa più bella che esista al mondo. Il suo odore e i suoi finti cavalli, ovvero le zebre, non si dimenticano mai», raccontava al ritorno dai suoi lunghi soggiorni. E amava Sabaudia perché gli ricordava l'Africa. L'unica eccezione che riservava all'Occidente era per Parigi. Lo inorgogliva essere considerato «uno scrittore francese». Lavorava ogni mattina con metodo, perché era convinto che ogni artista avesse bisogno di aprire una porta che lo trasferisse nel mondo dell'arte, della narrazione. Per accedervi era indispensabile praticare dei riti. Così, Alberto preparava le sue tazze di tè e iniziava a disegnare caricature sui suoi fogli. Ovunque si trovasse, le sue abitudini erano imprescindibili: scrivere e leggere la mattina, andare al cinema il pomeriggio, bere un aperitivo prima di cena, mangiare con regolarità. Adorava i ristoranti giapponesi e cinesi, usava i bastoncini per prendere il riso con le sue mani nodose e poderose come le fronde delle querce. Era brusco e gentile. Sofferente e sorridente. Ingenuo e cinico. Un viaggiatore inesausto che amava i salotti e le finezze. Ma soprattutto era un romanziere: «Nonostante una lunga vita piena di difficoltà, alla fine mi considero un privilegiato per il fatto di essere un artista». Era un pensatore vigile e senza tabù: per questo, ancora è letto dalle giovani generazioni. Il parallelismo tra intellettuale e artista è la caratteristica più appariscente di Moravia. La sua presenza nei dibattiti culturali ha influenzato gli interventi critici sulla sua produzione artistica. Resta la sua doppia tendenza: da una parte, il Moravia sostenitore dell'ideologia del "borghese onesto"; dall'altra, il Moravia "artista", creatore del messaggio estetico. Ma spesso si è trascurata la produzione di Moravia dopo "La noia" (1960). Si è ritenuto che a partire da questo romanzo l'intellettuale, l'ideologo, il presenzialista, sensibile alle mode culturali, abbia preso il sopravvento sull'artista. Nasce così la questione del rapporto fra prodotto letterario e contesto storico-sociale per un autore tanto "impegnato". "Gli indifferenti" (1929), "La mascherata" (1941), "La vita interiore" (1978), sono emblematici di un continuum dello scrittore. I cattolici hanno contestato a Moravia il suo essere "seguace della psicanalisi freudiana", l'aver ridotto "tutta la vita alla dimensione sessuale". Altri lo ricordano come uno scrittore ribelle e anticonformista, ma sostanzialmente innocuo, perché la sua ideologia è rimasta pur sempre all'interno dell'orizzonte borghese. Ma critiche a parte, Moravia (alias Alberto Pincherle figlio di un architetto ebreo e di una marchigiana di origine dalmata) si sentiva «un vero artista». "Gli indifferenti" è il suo capolavoro: con una prosa asciutta, essenziale, fredda, analitica e le atmosfere che rievocano le pellicole di Antonioni, ha anticipato i temi esistenzialisti sviluppati da Jean Paul Sartre ne "La nausea". Per passare alla storia basta scrivere un solo capolavoro. E Moravia, a parte "Gli indifferenti" (che narra la decadenza e lo sfacelo della borghesia italiana durante il regime fascista) e i due discutibili romanzi postumi ("La donna leopardo" e "I due amici"), di sicuro ha scritto più di un capolavoro.

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