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Scoperto e recluso a Fossoli lanciò un foglio sui binari «Sto andando in Germania»

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Campo di Fossoli. Era il 16 maggio del 1944. Sopra i binari ferroviari dell'anticamera dei lager nazisti, cadeva un piccolo foglio di carta a quadretti. Poco distante, un treno merci iniziava il suo lungo viaggio di sola andata verso il gelo polacco, verso il campo di concentramento di Auschwitz. Dal convoglio numero dieci, Fratel Ezio pregava che qualche anima buona portasse quella lettera alla sua famiglia, l'ultima che avrebbero mai potuto ricevere. Fratel Ezio, in realtà, era Ezio Spizzichino, uomo, padre e marito ebreo. Quando la mattina del 16 ottobre 1943 le guardie naziste delle SS rastrellarono gli ebrei del Ghetto, era in via Dandolo 6, dove abitava assieme alla sua famiglia. Come molti, fu svegliato troppo presto. Una telefonata lo avvisò dell'arrivo dei tedeschi. Poi la corsa in strada. Piazza San Cosimato, via Natale del Grande, fino ad arrivare in via Luciano Manara dove trovarono rifugio in una casa di cari amici. Ma la fuga era appena iniziata. Quei «cari amici» erano in realtà d'accordo con i fascisti, e attendevano una disattenzione, il momento propizio per consegnarli nelle mani della Gestapo. Ezio, dovette prendere una dura decisione: dividersi dalla sua famiglia. Grazie ad alcune amicizie riuscì a trovare rifugio presso l'istituto «Angelo Mai», alle spalle di via Cavour. Sua moglie Elda, con i suoi due piccoli figli, entrò in un convento delle suore del sacro Cuore Gesù. Fu lì che Ezio divenne Fratel Ezio. Crearsi una nuova identità era l'unica possibilità nascondersi e scampare al pericolo della deportazione. Fu proprio in quell'istituto che conobbe Fratel Pietro, anima pia che lo aiutò a sopravvivere, almeno per un istante, alle persecuzioni, alle torture, alla morte. Grazie a lui trovò un secondo rifugio nella Basilica di San Paolo. Fuori da quelle mura, la belva nazista infuriava. Parenti e amici si nascondevano tra le colline laziali, alcuni nei conventi, altri in abitazioni romane di uomini giusti che rischiavano ogni giorno la vita. Molti, ahinoi, partivano per un viaggio senza ritorno verso Auschwitz, Birkenau, Dachau, Mathausen. Altri, continuavano a vivere nella speranza. L'attesa e il desiderio di Fratel Enzo di riabbracciare la sua famiglia, di tornare a essere ebreo senza inibizioni, fu spezzata nella notte tra il 3 e il 4 febbraio del 1944. Travestiti da frati, un gruppo di fascisti fecero irruzione nella Basilica invadendo un territorio al quale non gli era concesso l'accesso. Con a capo il questore Caruso, alcuni membri della banda Koch erano venuti a sapere della presenza, a San Paolo, di ex ufficiali italiani e militanti comunisti. Per Ezio Spizzichino la fuga era giunta al termine. Assieme agli altri «finti» frati fu portato nel porticato della Basilica. Perquisito. Gli fu estorto quel denaro che tanto aveva provato a tenere custodito, fiducioso che con la fine della guerra tutto sarebbe ricominciato. Poi, di lì a poco, fu riconosciuto ebreo. Picchiato. Percosso con violenza come fosse un non-uomo. Quando finirono, per lui, iniziò un lungo viaggio. Prima a Verona, rinchiuso assieme ad altri arrestati nel carcere della città, dove vi rimase per tre lunghi mesi. Da lì fu inviato a Fossoli. In un campo detto poliziesco o di transito, sicuramente di smistamento. Molti ebrei romani passarono per quella località a sei chilometri da Carpi. In cinquemila calpestarono quella terra circondata da un muro di cinta. Pochi riuscirono a eludere il momento della deportazione definitiva verso i lager nazisti. L'Europa continuava a bruciare dannata da una Germania comandata da Hitler. Gli ebrei, bruciavano con essa nei forni crematori. Per tutto il periodo del suo internamento nel campo di Fossoli, e prima ancora nella prigione di Verona e nella Basilica di San Paolo, Ezio continuò a spedire lettere alla sua famiglia, tenendola aggiornata di ciò che faceva, di ciò che sperava. Saperli vivi, nascosti in un luogo r

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