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La scelta del critico

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Una collezione di mostri che sanno rubare lo sguardoShainberg con una biografia immaginaria porta in scena la regina delle immagini shock

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Ty Burrel, Harris Yulin, Stati Uniti, 2006. LA FESTA è cominciata con Nicole Kidman sullo schermo e in platea. Sullo schermo ha i capelli castani raccolti sulla nuca e dà vita a una persona realmente vissuta, la celebre fotografa americana Diane Arbus che, morta suicida nel 1971, già nel 1972 ebbe l'onore di vedere esposte le sue fotografie addirittura alla Biennale di Venezia. Delle fotografie terribili, senza nessun trucco, ma con dei soggetti mai fotografati a quel modo, nani, giganti, travestiti, venditori ambulanti, barboni, ritardati mentali, senza tetto. E dire che, come moglie di un fotografo di moda, Allen Arbus, gli era stata vicina per anni quando si occupava solo di abiti, di acconciature, di modelle e sempre in ambienti di lusso. Nicole Kidman ce la ripropone. In un film diretto da quello stesso Steven Shainberg che si era fatto abbastanza apprezzare tempo fa, con «Secretary», una durissima storia d'amore sadomaso. Adesso, raccontandoci di Diane Arbus, evita ovviamente il sadomaso però avverte che il ritratto che ce ne dà deve considerarsi «immaginario», pur non mancando di elementi biografici reali, i genitori di Diane, ad esempio, ricchi pellicciai (da qui, forse, quel titolo «Fur» da tradursi «pelliccia»), il marito noto fotografo, i tre figli bambini e quel brusco cambiamento di Diane, da assistente di un fotografo per riviste patinate, a fotografa essa stessa ma di... mostri. L'«Immaginario» interviene proprio per spiegare questo cambiamento che naturalmente non c'è nella celebre biografia di Diane Arbus scritta da Patricia Bosworth e che Shainberg, in piena intesa con la sua sceneggiatrice Erin Cressida Wilson, ha fatto scaturire dall'incontro fortuito di Diane con un vicino di casa a tal segno affetto da un'ipertricosi da essere, anche in viso, più peloso di un animale. Un incontro, probabilmente ispirato alla fiaba settecentesca di madame Leprince de Beaument, «La bella e la bestia», rivisitate per il cinema dal film omonimo di Jean Cocteau che, sul filo dei casi di Diane, può quasi considerarsi adesso una sua nuova versione cinematografica. Senza un amore dichiarato ma, appunto, come occasione per mettere a contatto Diane con quel mondo di scherzi di natura, di cui il suo barbuto interlocutore aveva finito per far parte. In cifre ora tese ora dolenti, con un ritmo attento soprattutto alla psicologia della protagonista e senza la possibilità di mostrare nessuna fotografia fatta da lei a quella gente perché i detentori dei diritti l'hanno vietato. Però vediamo Nicole Kidman, bella come sempre ma con un fascino ed una espressività intensissimi. E vale il film.

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