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La scelta dal critico

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La «Dalia nera» conquista e convince

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63. Con un film di Hollywood «The Black Dhalia», arricchita da due grandi firme, quella del suo regista, Brian De Palma, quella del romanziere da cui la storia è tratta, James Elloroy, di cui si ricorderà almeno un'altra riduzione cinematografica di una sua opera, «LA. Confidential». Un testo ben congegnato. La trasposizione l'ha curata Josh Friedman, autore, fra l'altro, della sceneggiatura de «La guerra dei mondi». Chi ha letto il romanzo non avrà motivo di essere deluso, perché, sia pure secondo linee essenziali, ci sono tutti i personaggi che si debbono incontrare, i loro scontri, le contraddizioni in cui vengono coinvolti e, attorno, la Los Angeles del 1947 vista soprattutto dalla parte dei crimini, spesso abominevoli, che vi si commettevano. I protagonisti, di conseguenza, sono due poliziotti chiamati a indagare proprio su questi crimini, Buchy e Lee. Prima di entrare in polizia avevano fatto con successo i pugili ed ora sono molto amici e Bucky è anche molto amico della moglie di Lee, Kay, con la quale, insieme, hanno dato vita a un simpatico trio. Il caso più clamoroso e sanguinoso di cui i due sono chiamati ad occuparsi è l'orribile morte di una attricetta, Betty Ann Short, il cui omicidio più che efferato Ellroy l'ha pescata fra la più autentica cronaca nera di quegli anni, tuttora, nonostante molte supposizioni, non risolto. Da questo spunto, il resto che porta Bucky sempre più in primo piano, con molte ambiguità attorno al personaggio di Lee e un susseguirsi di fatti e di personaggi via via sempre più misteriosi quando, soprattutto Bucky, si dà a sgrovigliare la matassa fosca che avviluppa tutte le circostanze e le persone cui finisce per riferirsi l'assassinio dell'attricetta. Brian De Palma con la maestria che gli conosciamo, si è impadronito di questa vicenda, tenendo a mente anche i climi neri del romanzo di Ellroy, comunque bene evidenziati dalla sceneggiatura di Friedman, e ne ha ricavato un film avvincente e coinvolgente che si segue, quasi con trepidazione, dalla prima pagina all'ultima. Intanto quei tre personaggi centrali, vivisezionati in ogni sfaccettatura, specie quando si farà strada l'amore, fin dall'inizio intuito fra Bucky e Kay, poi il disegno di altri di contorno, con tratti forti, psicologie sempre attente, rapporti scanditi ora con accenti sommessi ora, al contrario, quasi con violenza. E da ultimo la cornice d'epoca, rivisitata con colori ocra dalla fotografia del premio Oscar Vilmos Zsigmond, sostenuta dalle scenografie suggestive del nostro Dante Ferretti. Completando questi già felici risultati con una interpretazione, in tutti, curata nei minimi dettagli. Buck il vero protagonista, teso e lacerato, è Josh Hartnett, visto qui da noi appena ieri in «Slevin». Da lodare però, almeno anche gli altri due al suo fianco, la splendida Scarlett Johnannson che è Kay, Aaron Eckhart nei panni di Lee.

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