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In «Colossus» Niall Ferguson, professore ad Harvard, analizza il potere degli Stati Uniti

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Usa, impero dai piedi d'argilla

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Alcuni sono durati a lungo (dall'impero cinese a quello dell'antica Roma all'impero britannico, che si estendeva su un terzo circa delle terre emerse); altri, misurati con la clessidra della storia, sono durati un battito di tempo. È corretto definire un impero quello americano? I 270 milioni di abitanti della repubblica stellata si fanno venire l'orticaria, al solo accenno a una ipotesi del genere, rivendicando l'origine anticolonialista e quindi anti-imperialista del loro paese. George W. Bush ha tagliato corto, dichiarando: «Siamo l'unica grande potenza della storia che ha avuto la possibilità di diventarlo ma l'ha rifiutata». Con ciò l'attuale Capo dell'Esecutivo ha riecheggiato quanto affermava Richard Nixon, il quale definiva gli Stati Uniti «l'unica grande potenza a non avere un passato di ambizioni imperialistiche». Un assunto non del tutto vero. Che cosa avrebbe detto Teodoro Roosevelt, convinto che la politica estera andasse fatta con un bastone nascosto dietro la schiena? Non fu «imperialistica» la guerra per Cuba, nel 1898, per scacciare gli spagnoli dai Caraibi, con l'alibi della dottrina di Monroe («l'America agli americani»)? È sempre vissuto di contraddizioni il «primato» americano. Fu facile profeta, nel 1914, il ministro degli Esteri inglese Edward Grey, nel valutare le potenzialità americane: «Gli Stati Uniti sono come una gigantesca caldaia: una volta che sotto di essa è acceso il fuoco non esistono limiti alla potenza che può generare». Ne conseguiva che alla potenza economica si sarebbe fatalmente sommata quella politica. E così è stato, col trasferimento dall'Europa alla opposta sponda dell'Atlantico della capacità decisionale su scala planetaria, in conseguenza della prima e soprattutto della seconda guerra mondiale. Il quasi cinquantennio di confronto con l'Unione Sovietica, ha procrastinato l'incontrastato predominio americano, appoggiato a un sistema di alleanze (Nato, Cento, Seato, accordi militari bilaterali) senza precedenti. Ma ora? Il dinamismo americano non tende forse a esaurirsi? Sulle crescenti difficoltà degli Stati Uniti, in un mondo sempre di più globalizzato, ha indagato Niall Ferguson, geopolitico della Harvard University («Colossus» - Ascesa e declino dell'impero americano, Mondadori, pagg. 401, 20 euro). Ferguson va dritto al cuore del problema: «Il potere globale degli Stati Uniti d'oggi, per quanto imponente, poggia su fondamenta molto più deboli di quanto si creda. Hanno acquisito un impero ma agli americani manca la forma mentis imperiale: preferiscono consumare anziché conquistare, costruire centri commerciali piuttosto che nazioni». Rudyard Kipling, nell'Ottocento, parlava un po' untuosamente di «fardello dell'uomo bianco», per giustificare l'espansionismo britannico in Asia e in Africa. Qual è l'idea-guida degli americani per proporsi credibilmente come «potenza liberale». e farsi capire e accettare (invece che odiare) in paesi dove emancipazione e democrazia non sono valori bene accetti? Non è un luogo comune che negli Stati Uniti governanti e governati hanno bisogno di un «nemico» (non sempre per nobili motivi). Un tempo era il Kaiser, poi Hitler, quindi l'«impero del male» di reganiana memoria, per non parlare — volta a volta - di Fidel Castro, Gheddafi, Saddam Hussein e da ultimo Osama Bin Laden e soci, dopo il trauma dell'11 settembre. Non si dimentichi che nel «Grande Paese» le spinte isolazionistiche sono sempre latenti e che la «sindrome vietnamita» si è riproposta — sia pure in maniera meno virulenta e disgregatrice rispetto agli anni Sessanta - con il perdurante stillicidio di vittime tra i soldati americani impegnati in Iraq. La potenza militare degli States è indiscussa, perché la spesa per le forze armate è pari al 45 per cento del budget complessivo per la Difesa di tutti gli altri paesi del mondo. L'influenza americana sul costume, sulle abitudini, sul modello di vita — oltre che in termini linguistici e culturali — è sotto gli occhi di tutti. Ma qualc

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