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Il musicista in missione per la Cia Nel suo ruolo Morgan Freeman

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"The jazz ambassadors", questo il titolo del film, più che l'ennesima biografia cinematografica di un grande della musica del Novecento, vuole essere una detective-story sul tour che il musicista intraprese nel 1963 per conto del governo americano. Il film è stato scritto da Jeremy Donner, uno degli sceneggiatori più quotati di Hollywood non nuovo a ricostruzioni di questo tipo, realmente basato sulla storia di una serie di concerti tenuti dalla celebre orchestra in Iraq, proprio nel periodo in cui la Cia manovrò il colpo di stato che avrebbe portato all'ascesa di Saddam Hussein. Dunque Ellington era un agente segreto al soldo della Cia? Potrebbe essere, o forse, il Duca era solo inconsapevolmente in missione intorno al mondo per contro del governo. Un certo intrigo ci fu veramente, anche se sono in molti a temere - lo stesso Freeman che è anche produttore del film - l'ennesima bufala pur di spremere in qualche modo una delle grandi icone del jazz. Il 6 settembre 1963, dopo tredici vaccinazioni, l'orchestra Ellington lascia New York per uno dei viaggi più insoliti e avventurosi mai intrapreso. Il primo scalo è a Roma, poi si prosegue per Damasco, prima fermata di una tournèe fortemente voluta dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Siria, Giordania, Grecia, Afghanistan, Iran, India, per risalire in Russia e Giappone. A Baghdad l'orchestra ebbe dei problemi e ci volle tutta l'abilità di Ellington, raffinato diplomatico, per cavarsela senza troppi danni. Durante la conferenza stampa venne chiesto al leader del perché gli Stati Uniti non sovvenzionassero artisti come invece era prassi in Russia. «Perché negli Stati Uniti c'è competizione in ogni cosa - rispose il Duca - e il ritmo è così veloce che gli artisti, gli scienziati e tutti quanti scoprono sempre nuove cose». Nessun altro jazzista della sua generazione avrebbe avuto la stessa padronanza di linguaggio e soprattutto la capacità di evitare i tranelli più insidiosi. Il compositore aggiunse che ogni paese ha le sue ricchezze e le sue povertà, ma gli Stati Uniti sono il paese delle ricchezze e del voler sempre di più. Ancor più bravo quando il discorso cadde sulle posizioni politiche e sul razzismo: «È ancora la stessa cosa: dovunque ci sono diversi livelli di ricchezza e povertà, minoranze, maggioranze, razze, fedi, colori e caste». Ma i guai non erano finiti. Il giorno del concerto a Baghdad l'ambasciata fece sapere ai musicisti che avrebbero fatto bene a tornare in albergo subito dopo il concerto, perché ci potevano essere delle complicazioni. A tarda notte sentirono un paio di aerei che volavano sopra la città, provenienti da diverse direzioni. Si viene a sapere che avevano lanciato razzi e bombe sulla casa di un ufficiale governativo. Fortunatamente l'orchestra lasciò la città il giorno dopo e gli incidenti diplomatici, almeno quelli del momento, si chiusero lì. "The jazz ambassadors" cercherà di rappresentare tutto ciò, anche se il revisionismo sull'opera e la figura di Ellington è in corso fin dagli anni Settanta e le dure critiche non sono mai riuscite a scalfire il peso delle componenti economiche, politiche e culturali che stanno alla base della sua musica. Se oggi la black music è una forma d'arte e attraverso questa musica il popolo dei neri americani ha avuto, finalmente, una voce autorevole, capace di raggiungere, grazie alla sua istintività emotiva, tutti i popoli della terra, facendosi capire e amare, lo dobbiamo a Duke Ellington.

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