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La Germania evitò di umiliare i nemici nella speranza di trattare con Londra

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102di Upper Stanophe Strett nal Tosheh Park, una zona residenziale della media borghesia . Alois, per la verità, aveva invitato la sorella, Angela Raubal, alla quale aveva pagato il biglietto per il viaggio ; invece, alla stazione di Lime Street, vide dal treno Adolf, male in arnese, affamato, addirittura esausto con gli occhi pesti e straniti. Durante quei cinque mesi, Adolf Hitler non fece il minimo tentativo di trovarsi un lavoro, bighellonò soprattutto nella zona portuale e farfugliò qualche parola di inglese, senza riuscire a formulare correttamente una frase. Il bohémien ventiquattrenne che a Vienna viveva stentatamente, cercando di vendere cartoline dipinte, non aveva cambiato abitudini. Dormiva fino a tardi su un divano e ci restava disteso per ore, come un invalido: la cognata era atterrita al pensiero che diventasse un ospite permanente. Lo storico Robert Payne, autore di una biografia su Hitler e che ha indagato sul «periodo inglese» (poco conosciuto) è tuttavia dell'avviso che quei cinque mesi lasciarono una traccia indelebile sul futuro Fuhrer. Le ore trascorse nei docks di Liverpool, guardando le navi che si muovevano attraverso le foschie invernali, gli stamparono nella mente la nozione della supremazia marittima inglese, quando l'impero britannico si estendeva su un terzo delle terre emerse. Da allora in poi, fino all'ultimo dei suoi giorni, Hitler avrebbe provato un costante rispetto per la «Old England». Se ne trova una conferma nel «Mein Kampf», la bibbia hitleriana - che Mussolini definì «un mattone - scritta in carcere, dopo il, fallito Putsch di Monaco nel 1923. Se lo spazio vitale del Reich era a Oriente, se a sud l'Italia era la naturale alleata, costante doveva essere la ricerca di una intesa con l'Inghilterra, tra «i sassoni della terra e i sassoni del mare». Lo storico inglese Liddell Hart, descrive ciò che avvenne nell'ora del maggior trionfo di Hitler, con la Francia ormai in ginocchio. Hitler, sbalordì i suoi generali parlando con ammirazione dell'impero inglese, assimilato alla Chiesa cattolica, in quanto l'uno e l'altra erano elementi di stabilità essenziali per il mondo. La restituzione delle colonie alla Germania era auspicabile, ma non essenziale; egli voleva un chilometro quadrato dell'impero britannico. Tutti compresero che il reimbarco del corpo di spedizione inglese a Dunkerque - grazie all'alt imposto da Hitler alle divisioni di corazzate - trascendeva le motivazioni militari e faceva parte di un calcolo politico: non si voleva l'umiliazione della nazione britannica. Il Maresciallo Alexander, che si trovava nella sacca insieme con decine di migliaia di connazionali, scrive: «Se Hitler avesse impiegato tutto il peso delle sue armate nella distruzione del corpo di spedizione inglese, esso non sarebbe potuto sfuggire. E alla domanda :«Chi ha salvato il corpo di spedizione?» la mia risposta sarà sempre Hitler». Dopo il fallimento della battaglia aerea d'Inghilterra, Hitler preparò svogliatamente l'operazione «Leone Marino» (invasioni delle isole inglesi) archiviata il 12 ottobre 1940 e rinviata «sine die». Ancora:alla iniziale disponibilità di Francisco Franco, dopo la resa della Francia, di entrare in guerra a fianco delle Potenze dell'Asse (in seguito, il «Caudillo» ci ripensò, Hitler, non volendo l'allargamento del conflitto in Europa, non diede risposta, sempre sperando in una soluzione negoziata con l'Inghilterra. L'intervento dell'Italia, il 10 giugno 1940, non fu né richiesto ne sollecitato da Hitler: il Patto d'Acciaio, di fatto, non esisteva più, dal momento che il I° settembre 1939 Mussolini non aveva affiancato la Germania, annunciando la «non belligeranza», una neutralità mascherata. All'atto di attaccare in Occidente, Hitler lasciò il Duce libero di «prendere in piena libertà» le decisioni che riteneva più opportune, nell'interesse del suo paese. È indubbio

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