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Capote e Benigni incantano Berlino

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Il regista italiano: «Come mai qui tutti mi chiedono di Berlusconi?»

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Se «Requiem», del tedesco Hans-Christian Schmid, narra la storia vera vissuta negli Anni Settanta da una giovane donna, divisa tra malattia e fede cattolica, che per guarire ricorre ad un esorcismo, il regista iraniano Jafar Panahi racconta, con «Offside», le violenze subite dalle donne iraniane. In particolare, da quelle che amano il calcio e vogliono vedere le partite allo stadio. Ma il film, fuori concorso, che ha destato l'interesse generale è stato senza dubbio «Capote» di Bennet Miller, appena uscito in Italia. Il titolo di rivelazione dell'anno sarà di sicuro tutto per Philip Seymour Hoffman che, dopo i fortunati ruoli in «Magnolia» e ne «Il talento di mister Ripley», qui si mimetizza dietro gli occhiali e dietro la cantilenante cadenza del grande scrittore omosessuale americano. Il film, già reduce dalla vittoria dei golden globes e candidato a 5 oscar, racconta come nel novembre del 1959 l'ormai affermato narratore e reporter volle indagare sullo sterminio della famiglia Clutters, in Holcomb, nelle campagne del Kansas. Rivoluzionando le tesi dell'accusa a proposito dei criminali omicidi, ne trasse il suo libro più famoso, «A sangue freddo» («In a cold blood»), creando un nuovo genere letterario, la non-fiction novel, sospeso tra romanzo e inchiesta giornalistica. Il progetto durò 6 anni, dal 1959 al 1966, e fu pubblicato dopo la condanna a morte per impiccagione (1965) dei due killer, Dick Hickock e Perry Smith. Quest'ultimo, che alla fine si sentì usato e tradito dal reporter, instaurò un forte legame affettivo con Capote, che andava spesso a visitarlo in prigione. «Capote era un uomo solo e per certi versi sinceramente legato a Perry - ha spiegato ieri il regista - Era un uomo disperato che, dopo aver scritto "A sangue freddo", la sua ultima pubblicazione, andò incontro al suo declino, abusando di droghe e alcool, che lo portarono alla morte nel 1984. L'incontro con Perry cambiò la sua vita dimostrando, come diceva Eraclito, che il carattere coincide con il destino. Capote era destinato a distruggere se stesso e solo un criminale come Perry lo mise di fronte alla sua realtà». Nella Berlinale Special è stato infine presentato ieri il film che chiuderà domani il 56° festival di Berlino, «La tigre e la neve» di Roberto Benigni. «Anche se - ha detto il regista e attore che ha avuto incontri solo con la stampa internazionale - tutti i giornalisti stranieri non fanno che chiedermi di Berlusconi. Eppure, ormai tutti sanno chi voto, persino il mio corpo è antiberlusconiano. Più che i sondaggi del Polo, quello è il Polo dei sondaggi. Lo sanno che non possono vincere e al Polo farebbe bene perdere le elezioni. Se vince l'Unione fa bene anche a loro, è un discorso di volersi bene: non voto per il Polo perché gli voglio bene. La mia natura è quella del palcoscenico, non di andare a fare comizi in piazza. La bellezza è manifestare con libertà, passione e innamoramento, il desiderio di voler bene al Paese».

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