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La psicologia dei protagonisti inciampa nella retorica

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JAMES Ivory di nuovo con Kazuo Ishiguro, lo scrittore di origine giapponese che con il suo romanzo «Quel che resta del giorno» gli aveva consentito di realizzare il film di egual titolo splendidamente interpretato da Anthony Hopkins e da Emma Thompson. Questa volta, però, Ishiguro ha ritenuto di poter scrivere direttamente per Ivory un soggetto originale che poi ha anche sceneggiato e il risultato non è proprio convincente. Siamo a Shanghai nel '36, alla vigilia dello scoppio della guerra cino-giapponese e dell'invasione della città. Un ambiente cosmopolita, molti europei. In prima fila, una famiglia di aristocratici russi, i Belinsky, emigrati e senza più averi a causa dei Soviet. Pur disprezzandola per la nuova veste di ballerina e, a volte, di accompagnatrice, vivono tutti grazie ai piccoli guadagni di Sofia, la bella vedova di uno di loro. Mentre, su un altro versante finisce invece per sostenerla (poi innamorandosene) un ex diplomatico inglese, Jackson, accecato in seguito ad un incidente, che le dà lavoro in club di sua proprietà da lui intitolato, forse pensando a lei, «La contessa bianca». Presto comunque la situazione precipita, con l'occupazione appunto di Shanghai da parte dei giapponesi e mentre la famiglia di Sofia fuggirà senza di lei a Hong Kong, lei, con la sua bambina, se ne andrà a Macao insieme a Jackson pronto adesso, dopo molte reticenze, a dichiarale il suo amore. Un clima un po' da melodramma. Con quella famiglia russa divisa fra altezzosi ricordi e recenti, inattese privazioni. Con quel diplomatico ferito, non solo agli occhi, da un passato difficile e adesso innamorato senza svelarsi, mentre attorno il mondo che di nuovo si è costruito sta crollando. E con la «contessa bianca» respinta dal suo ambiente, per il quale però si è sacrificata e proprio coinvolta in quello nuovo, soprattutto in virtù dell'amore. Ivory, con la sua regia, ha puntato molto sui personaggi e sulle loro psicologie, affidando al celebre direttore australiano della fotografia Christopher Doyle la ricostruzione dei luoghi attorno e dell'epoca: senza poter evitare, però, che molti temi, con la loro retorica, lo inceppassero nei movimenti, impedendogli di imporsi con il suo stile abitualmente così intenso e ricco, ma con asciuttezza, di severe proposte emotive. Lo aiutano un po' gli interpreti. Non solo Ralph Fiennes, che è il diplomatico cieco, ma tutta la famiglia Redgrave schierata a sostenerlo: da Nathasha Richardson (Sofia) a sua madre Vanessa Redgrave, a sua zia Lynn Redgrave. Tutte con molta classe.

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