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di MAURIZIO SERRA ECCO un libro sul diavolo che nasce da un miracolo, o quantomeno un prodigio.

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Pubblicato a Parigi da Buchet Chastel, e con l'edizione italiana già in preparazione, «Dieu, l'homme et son diable» è un testo che sconcerta e affascina per l'impianto veramente rinascimentale. In epoca di crescente e spesso arida specializzazione, Fejtö non teme di rimescolare le passioni di tutta una vita - teologia e filosofia, storia e arti figurative - con una competenza ma soprattutto una freschezza che incantano. Si aggiunga lo stile serrato ma scorrevole, che attira e non respinge il lettore (segno del giornalista di razza che egli è stato per molti anni alla France Presse) e si capirà il successo con cui il libro è stato già accolto in Francia. Eppure il tema non è allegro: meditazioni sul male e il corso della storia, recita il sottotitolo. È già un'ammissione autobiografica, anche senza bisogno di riferimenti diretti all'autore. Chi lo ha già incontrato altrove, nella sua traversata del Novecento in forma di dialogo con chi scrive («Il passeggero del secolo. Guerre. Rivoluzioni. Europe», Sellerio) sa che la lunga esistenza di Fejtö non è stata né facile né piana, da combattente per la libertà, non da pur nobile topo di biblioteca. Nato in Ungheria nel 1909, suddito di un impero asburgico ancora orgoglioso e possente ma già avviato al tramonto, Fejtö è stato sempre un personaggio scomodo. E questo non per sua natura (è l'uomo più solare e ottimista del mondo, causa prima della sua eccezionale longevità) ma, appunto, per incapacità di piegarsi al male nella storia e nella vita. Oppositore insieme con amici fraterni quali il poeta Attila József e lo scrittore Arthur Koestler, del fascismo trionfante in patria dopo la grande guerra, poi del comunismo staliniano, di cui denunciò giovanissimo la natura di chiesa pervertita. Vittima della tragedia del nuovo conflitto e dell'olocausto, che lo colpì duramente negli affetti familiari. Testimone in Francia, dove si era trasferito e vive da allora, della pusillanimità dell'intellighenzia di fronte alle nuove minacce totalitarie durante la guerra fredda. Protagonista, accanto a Camus, Silone, Edgar Morin, Sartre (con molte oscillazioni) della battaglia di opinione a favore della rivoluzione ungherese nel 1956 e della primavera di Praga nel 1968. Sostenitore infaticabile della necessità per i paesi dell'Europa centro-orientale desovietizzata di ritrovare la strada di un'identità nazionale senza nazionalismi, nel rispetto di tutte le comunità etniche e religiose (donde la sua vibrante indignazione di fronte alle guerre nell'ex Jugoslavia). Ecco, in estrema sintesi, il ritratto di un uomo che, come il suo amato Erasmo, non crede al diavolo, ma sa che spesso mette lo zampino nelle cose di questo mondo... Fejtö parte da un confronto serrato con la Bibbia per dimostrare che, da un ruolo relativamente secondario nell'Antico Testamento, il diavolo entra pienamente in scena con il Nuovo Testamento fino a configurarsi come vero e «realistico» antagonista del Salvatore: l'anticristo, appunto. Da lì viene il primo esempio di demonizzazione collettiva della storia: quello del popolo ebraico deicida da parte del neo-convertito San Paolo. Dalla missione degli apostoli intesa come lotta incessante contro Lucifero si giunge al trionfo dell'universalismo cristiano, che «ha fatto esplodere l'ambito troppo angusto del monoteismo fissato dalla legge mosaica». La Chiesa di Roma trionfa e la sinagoga soccombe perché non ha più uno stato a cui appoggiarsi. Ma in termini di rappresentazione se non di influenza, ci guadagnerà anche il diavolo. Dagli incubi di Bosch alla Crocefissione di Mathias Grünewald, dal Giudizio universale di Signorelli alle prove di Cristo di Botticelli, il diavolo entra alla grande nell'età moderna e non ne uscirà più. L'inferno dantesco annuncia l'anus mundi di Auschwitz e i killing fields della Cambogia e vi si associano lussuria e tentazione, meglio se in ve

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