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Biancaneve è ricca e bugiarda, si droga e vive in Svizzera

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Il regista, di origini arabe (è nato a Bagdad), si chiama Samir, senza che si capisca se è il nome o il cognome. Però ha passaporto elvetico perché vive e lavora da anni a Zurigo, così la sua storia l'ha ambientata in quella città, con una protagonista, la bella attrice Julie Fournier, che parla molto in tedesco e con il protagonista, Carlos Leal, che parla francese perché, nella vita, è il leader di un gruppo hip-hop di Ginevra. Nella finzione i due naturalmente si amano, ma ne vedono di tutti i colori, e sempre sul nero. Lei, infatti, è figlia di ricchi, si droga, passa da una festa (con orge) a un'altra. Lui è proletario, non fuma, non beve e canta soltanto, perciò con successo. Così quando lei se ne innamora, follemente, per non essere giudicata male, gli racconta di essere di estrazioni modeste e di dedicarsi al teatro (un po' recita, comunque). È la prima bugia, ma nelle lunghe due ore del film ce ne saranno molte altre che inducono lui, quando le scopre scoprendo anche il suo vizio della droga, a separarsene iroso. Naturalmente tornando anche insieme di nuovo e tornando a lasciarsi, fino al momento in cui lei, dopo un'orgia si tirerà una pallottola in testa. Però non morirà e ci riuscirà di incontrarla ancora in ospedale dove tentano di farle recuperare la parola e la memoria... Un grosso pasticcio. Che si fa seguire (ma a fatica) solo perché, sul piano psicologico, i caratteri dei due innamorati difficili obbediscono a certe evoluzioni, con tocchi abbastanza precisi. Attorno, però, gli altri personaggi e gli ambienti sono totalmente di maniera, con buoni di qua, i cattivi, specie se ricchi, di là, e con una tale sovrabbondanza di luoghi comuni — nelle battute di dialogo, in parecchie situazioni — da rischiare una comicità involontaria. Certo i due interpreti principali recitano persino con fervore, ma auguro loro di imbattersi in qualche buon regista italiano. Allora riusciranno ad imporsi. Meriti altrettanto scarsi nel film francese «Riviera», opera seconda di Anne Villacèque, incontrata quattro anni fa a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs con la sua opera prima «Petite chérie». Una madre e una figlia in Costa Azzurra. La prima è cameriera in un albergo di lusso, la seconda si esibisce in balli erotici in un locale notturno e, per quel che riguarda il sesso, è del tutto disinibita. Alla fine un suo amante occasionale verrà ucciso da sua madre, che, malata di solitudine, all'inizio se n'era invaghita. Lei continuerà nel suo vuoto. Un solo pregio, le immagini, strette sempre sui personaggi, specie sulla madre che è Miou-Miou, reduce da ben altro cinema francese. Ma in una storia incongrua che quasi niente la giustifica, per i molti nudi e i focosi accoppiamenti sembra destinata soprattutto a dei guardoni.

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