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di STEFANO MANNUCCI «OGNI volta che crediamo di aver capito come afferrare il mondo, questo ...

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Ora, rispetto a tre anni fa, ne sappiamo di più. Sappiamo che solo il pensiero totalitario può pensare di dominare il pianeta. Il nostro sforzo deve essere quello di creare nuove occasioni dal caos che ci circonda, rendere vitale il dubbio, trovare altri sentieri in questa giungla. Senza più certezze». Meno sereno di un tempo, come confessa lui stesso, «ma non posso essere stanco, perchè sono anche un padre, ho una famiglia e delle preoccupazioni in più», ecco Lorenzo Cherubini versione 2005. Alla vigilia dei 40 anni, quel "Jovanotti" sulla copertina del cd - il suo decimo - va messo tra parentesi, perché è scaduto il tempo del velleitario giovanilismo: adesso l'energia diventa consapevolezza dei propri limiti, e chance ulteriore per una sensibilità matura. Così, questo "Buon Sangue" cerca l'unico equilibrio artistico possibile: quello di un funk-hip hop solo a tratti adrenalinico come ai vecchi tempi, più spesso frenato dal ripensamento, dalla riflessione, dalla necessità di rifondarsi senza sosta, sul piano politico come su quello privato. È, questo, un disco che trova i suoi spunti migliori proprio nelle ballate: magnifica "Una storia d'amore", in cui Lorenzo sembra calarsi (in modo inconsapevole, giura lui) nei panni di Tenco; riuscita anche "Per me", una sorta di manuale per difendere i propri sentimenti vacillanti. Mentre non sempre tutto fila liscio nell'affabulazione rap, nelle esotiche pirotecnie del ritmo in cui il Nostro da sempre si riconosce. C'è una ammaliante "Penelope" con l'armonica di Edoardo Bennato, e il singolo "(Tanto)3" che sembra una vertiginosa seduta di autoanalisi in musica, nata dopo la scoperta - sostiene Cherubini - «di una lettera di Petrarca a un amico, che sembrava scritta per me». E c'è, in edizione limitata, un secondo cd di 13 registrazioni "extra funk": un divertissement collettivo nato in studio durante la genesi di "Buon Sangue", ma anche la sottolineatura di una transizione raccontata a pelle nuda, con l'ansia di sentirsi riconfermato nel cuore del pubblico, dopo che nel 2002 "Il quinto mondo" gli era stato, ricorda Jovanotti, «ributtato in faccia dalla gente». Questo è invece «un lavoro molto importante, che mi ha ridato la voglia di sperimentarmi nell'hip hop, un disco senza alcun punto di riferimento, quasi un'avventura che ha rischiato, a volte, di scapparmi di mano ma che poi, grazie a qualcuno, sono riuscito a riacciuffare». Un'opera dell'età di mezzo, dedicata all'amico Tiziano Terzani: «Ci siamo scritti molte volte e sono andato a trovarlo a Firenze un mese prima che morisse, abbiamo passato una splendida giornata insieme e gli ho raccontato di questo disco. Mi ha dato tanto coraggio», e sottolinea quest'ultima parola, titolo di uno dei brani portanti: «quel coraggio che occorre per intraprendere ogni tipo di viaggio. Perchè il senso non è mai nella meta, ma in quel che attraversiamo». Lorenzo come un novello Ulisse, che sogna la sua "Penelope": «Abbiamo bisogno di questa figura femminile che ci aspetta, mentre noi combiniamo i nostri casini. Ma la sua non è un'attesa passiva, lei tesse la tela e la disfa, non vive per la nostra risposta, è lei stessa ad incarnarla. Ulisse e Penelope: i due poli della storia dell'umanità». In "Buon Sangue" Lorenzo si dichiara discendente di molti antieroi di quella stessa storia, da Caino a Giuda, allo stesso Savonarola. «Sì, mi sento spesso più vicino al fratello sbagliato che a San Giovanni, o al seguace che non sa confermare la sua fedeltà. Mi capita di sentirmi traditore, e del resto quel sommo sceneggiatore che ha messo in pagina la Bibbia ha avuto bisogno di questi personaggi perchè ogni cosa fosse compiuta, perché il pensiero dell'Uomo andasse oltre». Il respiro lungo dei Millenni e il fiato corto delle vicende di questi anni: «Non è stato inutile marciare a mili

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