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Pulp, la violenza su un piatto d'argento

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Insomma una schifezza. Il termine è stata lanciato nel mondo dei tuttologi dal film «Pulp fiction» firmato da Quentin Tarantino nel '94. La pellicola grondava di sangue, ma in modo ironico, pretendendo di divertire e non di fare paura. Il vocabolo venne adottato per indicare un modo paradossale e umoristico di descrivere la violenza e si è perfettamente inserito in una costellazione di espressioni che precisano la vocazione di un film. Così nei generi cinematografici il «pulp» è quello sanguinario-ironico, l'horror fa (o vorrebbe fare) paura e lo splatter fa schifo (di solito ci riesce benissimo). Splatter, termine più arcaico che fa risalire la sua gloria agli anni Ottanta, significa «proposto senza veli». Dicesi splatter ciò che è raccontato mettendo sotto gli occhi dello spettatore tutto di un determinato avvenimento sanguinario, con speciale attenzione a particolari come l'amputazione di arti, lo sbudellamento e altre amenità del genere. Un film pulp-splatter è perciò carico di violenza e un po' fa schifo e un po' fa ridere. Ma il pulp-splatter non lo ha inventato Tarantino e sicuramente nemmeno Park Chan-wook, regista di «Old boy». E allora la novità dov'è? Una volta, nei rassicuranti anni Settanta, i film schifosi venivano proiettati, senza troppo clamore, nei «pidocchietti», le economiche sale di seconda visione e un pubblico senza pretese li guardava sgranocchiando bruscolini a dieci lire la bustina. Oggi i film che fanno schifo vanno ai festival e, alle volte, acclamati da platee di bocca buona, vincono anche qualche premio.

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