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di LUCIANA VECCHIOLI IL CINEMA ce l'ha nel dna, è la sua famiglia.

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Attore e regista di talento, riconosciuto da gran parte della critica che gli ha tributato numerosi premi, tra cui il Nastro D'Argento come miglior regista esordiente per «Piccoli equivoci», il David di Donatello per «Ultrà» con il quale ha vinto anche il Filmfest di Berlino, ancora il David per «La scorta» e il David Scuola per «Canone inverso», che giovedì prossimo sarà trasmesso da Raitre alle 21. Per non parlare di successi televisivi come «Il Papa buono». Nel suo futuro ci sono ancora grandi progetti. Un film sulla malasanità che realizzerà entro l'anno ed una miniserie Rai su Eleonora Duse. Entrambi scritti con la sua compagna Simona Izzo. Eppure alla soglia dei cinquant'anni, Ricky Tognazzi non ha nessuna difficoltà a mettersi di nuovo in campo, anche accettando generosamente piccole particine in film indipendenti, diretti da registi quasi esordienti. Come è avvenuto per «Fate come noi» di Francesco Apolloni, alla sua seconda opera, in questi giorni nelle sale. «In un panorama piuttosto triste del cinema italiano di oggi - dice Tognazzi - partecipare ad un film come questo è un privilegio, vederlo poi prendere luce nelle sale nonostante mille ostacoli è una soddisfazione. Il cinema ha bisogno di persone che credono nei piccoli miracoli». A proposito di miracoli, molti parlano della rinascita del nostro cinema. Condivide? «Mica tanto. Sinceramente non sento questa rinascita. Secondo me, da qualche anno, si tenta di uscire dall'impasse e nonostante fatica e disagi vari si continua a sfornare ancora solo qualche campione, grazie anche al coraggio di alcuni attori, registi e produttori». I gusti del pubblico secondo lei sono cambiati? I dati dicono che oltre il 60% della gente preferisce le pellicole americane, in compenso ci sono sempre più persone che scelgono i prodotti di casa nostra. «Siamo figli della civiltà dell'immagine. Certo se continuiamo a crescere ad hamburger e "Distretto di polizia", termine che in Italia peraltro non esiste perchè da noi c'è il commissariato, il rischio è forte. Invece a mio parere occorre abituare il pubblico a consumare cultura italiana, il che porterebbe sicuramente ad aumentarne nel tempo la fruizione. Per essere scelti è indispensabile realizzare buoni prodotti. Far sì che il cinema italiano diventi sinonimo di qualità». Prima ci ha accennato a due suoi prossimi progetti riguardanti la sanità e la vita della "divina" Duse a 80 anni dalla sua scomparsa. «Con Simona siamo ancora in fase di scrittura. Credo che prima realizzerò il film sulla malasanità, avvalendomi anche della consulenza di medici che hanno vissuto sulla propria pelle le condizioni degli ospedali italiani».

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