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Il grande latino mai pubblicato come ora. È il segno del ritorno a regole per decenni ignorate nelle nostre città

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non avea anchora inteso Vitruvio bene». Così Antonio da Sangallo il giovane giudicava il portale del giardino di Giovanni Choritio in un appunto autografo su un disegno conservato agli Uffizi. Prova evidente di quanto la lettura e lo studio del trattato vitruviano sia stato decisivo nella codificazione del linguaggio della architettura cinquecentesca fino a diventare norma incontrastata. La pubblicazione a stampa del testo latino del «De Architectura» curata, intorno al 1485, da Sulpicio da Veroli, insegnante di grammatica nella università della Sapienza, ebbe in realtà il valore di una scoperta, anche se non mancano testimonianze della sua diffusione in età medievale. E, dopo la pubblicazione, iniziò nei primi decenni del Cinquecento un successo editoriale senza precedenti con traduzioni, sintesi, commenti che nel loro insieme costituiscono un perenne monumento al modesto e sfortunato architetto romano che scrisse il suo trattato per consolarsi del poco successo ottenuto e lo dedicò ad Augusto nella speranza di ottenerne il sostegno. Da una decina di anni stiamo assistendo a un imprevedibile ritorno di fiamma del successo vitruviano (dovuto forse alla cattiva coscienza di una cultura architettonica che si compiace della disobbedienza ad ogni regola ed a ogni ordine). Molto opportunamente la Direzione per i beni librari del Ministero per i beni e le attività culturali e l'Accademia dei Lincei hanno promosso la pubblicazione in fac-simile di uno dei tesori della biblioteca Corsiniana: una copia della prima edizione latina di Vitruvio con note e disegni marginali opera di Francesco da Sangallo (detto Gianbattista e soprannominato «il gobbo») fratello di Antonio il giovane, uno dei maggiori architetti del Rinascimento. Del libro va lodata anzitutto la veste editoriale curata da uno dei più raffinati editori del nostro tempo, Enzo Crea, titolare delle edizioni dell'Elefante. I fac-simile sono di solito brutte riproduzioni che degli originali hanno solo la parvenza esteriore e si giustificano solo per ragioni strumentali. Crea invece, sull'esempio di Giovanni Mardersteig, ha saputo creare un nuovo originale, riproducendo fedelmente ogni pagina, modificando però il colore dell'inchiostro cosicché i disegni del Sangallo si legano in armonia ai blocchi tipografici del testo. I disegni del Sangallo occupano i margini del foglio che Sulpicio da Veroli aveva voluto molto ampi pensando, da studioso, al lavoro di interpretazione necessario per restituire efficacia al testo vitruviano. La curatrice della edizione Ingrid D. Rowland giustamente sottolinea il fatto che l'autore dei disegni dà corpo alle descrizioni vitruviane non, come di seguito avverrà spesso, pensando a una città ideale, priva di complessità e di contraddizioni, ma pensando alla Roma antica a similitudine della Roma del suo tempo: «Le sue mura urbane - scrive - sono collocate in un paesaggio reale di colline, valli e terreni tortuosi...le sue strade romane non appartengono al sogno di un mondo di candide colonne, esse sono altrettanto accidentate e malmesse di una strada romana del suo tempo. Da vero figlio del suo tempo disegna i suoi interni in prospettive di abbagliante precisione usando tutte le innovazioni apportate da Bramante e da suo fratello maggiore Antonio. La sua città dei Cesari non è una astrazione archeologica; essa è viva con la gente che la percorre, dal piccolo e grasso attore gesticolante... agli energici bagnanti che si immergono nelle piscine, lottano nelle palestre, o siedono sui bordi delle vasche, discutendo con strani gesti delle mani e delle braccia. Come Vitruvio, che stabilisce specificamente che il portico di un tempio deve essere largo abbastanza perché due matrone possano passeggiare a braccetto, egli ritrae templi come luoghi dove la gente si riunisce, comprese quelle due matrone vitruviane». Convincente anche la riflessione sul gusto teatrale di Gianbattista: «Più di tutto comunque Battista da Sangallo ama il teatro... i suoi più gran

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