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di MARIA MATALUNO CHE cos'è l'anima, questa sostanza impalpabile che, nascosta in ogni uomo, ...

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Uno scetticismo che Joyce stesso smentì con la propria opera: il suo "flusso di coscienza" non era in fondo un tentativo di dare voce all'interiorità, di decifrare il codice segreto dell'anima? Anche lo scrittore irlandese costituisce un tassello del millenario sforzo intellettuale intorno all'anima che monsignor Gianfranco Ravasi - prefetto della Biblioteca Ambrosiana e docente di Esegesi biblica alla Facoltà teologica dell'Italia Settentrionale - ha ricostruito nel saggio «Breve storia dell'anima» (Mondadori, 341 pagine, 16 euro). Se la mitologia greca identificò l'anima con Psiche (da "psiché", vento o soffio vitale), la bellissima principessa innamorata di Amore che nell'iconografia pompeiana avrebbe assunto le sembianze di una creatura alata, fu il filosofo Eraclito a capire quanto fosse arduo penetrare il linguaggio dell'anima: «Per quanto tu possa camminare neppure percorrendo intera la via, mai riusciresti a trovare i confini dell'anima: tanto profondo è il suo logos!». Ma mons. Ravasi non ha paura di navigare su questo fiume, di spingersi alla ricerca delle sue fonti - ne esamina soprattutto due, quella ebraico-cristiana e quella greca - e di seguire il suo diramarsi nelle tre direzioni della teologia, della filosofia e della poesia. Nella prima diramazione - la teologia - il biblista veleggia in compagnia di Sant'Agostino e San Tommaso, San Paolo e Santa Teresa di Lisieux, acuti indagatori di quella scintilla d'immortalità che Dio infuse nell'uomo affinché potesse considerarsi davvero a sua immagine e somiglianza». I problemi su cui dibattono da secoli i teologi, tuttavia, da Tertulliano a Bonhoeffer, da Kierkegaard a Buber, erano già stati messi in luce dalla filosofia greca, e in particolare da Platone e Aristotele. Immortale, intelligibile, uniforme e indissolubile, l'anima per Platone non appartiene al mondo terreno, ma a quell'iperuranio dove hanno sede le idee e di cui il nostro mondo è solo un pallido riflesso. Caduta nel corpo, essa vi si trova come in un carcere, dal quale uscirà solo dopo aver compiuto un certo numero di trasmigrazioni in altri corpi ed essersi purificata. Fu Aristotele a ricomporre la rigida opposizione tra corpo e anima, paragonando il rapporto tra spirito e carne a quello tra forma e materia: è la prima a permettere alla seconda di esistere attualmente, laddove la materia priva di forma è solo potenza, conato di esistenza. Tuttavia il binomio corpo-anima continuerà a tormentare i filosofi di ogni tempo, spingendoli a prendere posizione ora per l'uno ora per l'altra: di fronte a pensatori come Cartesio, Spinoza e Leibniz, pronti a magnificare la superiorità dell'anima sul corpo, della "res cogitans" sulla "res extensa", ci sarà la schiera dei razionalisti e dei nichilisti, che da Hobbes a Nietzsche, da Locke a Comte, affermeranno il predominio dell'istinto sulla razionalità, del tangibile sull'impalpabile, del misurabile sull'incommensurabile. È invece proprio l'incommensurabile a dominare nel terzo ramo del "Giordano dell'anima", come lo definisce Ravasi: sin dai tempi di Omero, infatti, la poesia non ha mai smesso di fare dell'anima la sua fonte primaria e la sua cassa di risonanza. Innumerevoli sarebbero gli esempi da citare, dall'"alma sdegnosa" che abbandona il corpo del protagonista alla fine dell'«Orlando furioso» di Ariosto all'"animula vagula" invocata dall'imperatore Adriano nel capolavoro di Marguerite Yourcenar, dalle anime tormentate, speranzose o beate incontrate da Dante nel suo viaggio nell'aldilà a quella del goethiano Faust, che non esita a rinunciare alla scintilla divina che ha in sé per inseguire effimeri piaceri materiali. Meno ovvi sono gli altri esempi scelti da mons. Ravasi, come quello di Leopardi, che considerava l'anima la sorgente vitale del corpo ma allo stesso tempo le assegnava il destino di condividere con esso l'infelic

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