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L'alba del popolo delle lingue lunghe

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Eppure oggi i maldicenti vivono l'ora del riscatto. E cambiano le cose anche per la ragione del loro essere, la tanto condannata maldicenza, alla quale viene associato l'aggettivo «sana». La maldicenza non è più un concetto negativo punto e basta; anzi diventa un diritto e un esercizio di libertà. Tutto questo non può che accadere nella capitale della (buona) maldicenza: L'Aquila. Primo nel suo genere si terrà il 10 gennaio nel capoluogo abruzzese un convegno sul valore e il peso della «sana maldicenza» nell'era della comunicazione integrata. Al simposio è annunciato anche un dotto intervento dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che non potrà che dare lustro all'evento. Nella zona la sana maldicenza non è una novità: proprio all'Aquila sin dal '300 fu indicata Sant'Agnese come protettrice delle «lingue lunghe» e anche delle prostitute e delle cosiddette «malmaritate», cioè le «donnicciole», le «serve», quelle donne del popolino minuto che altro divertimento non avevano se non raccontare ogni nefandezza sul resto della società che era al di sopra di loro e della quale erano in balìa. Nacque la festa di Sant'Agnese e questo nonostante la contrarietà e l'imbarazzo della Chiesa che dovette genuflettersi al volere popolare. Quello che potè fare l'autorità ecclesiastica, ma solo all'inizio del Novecento quando ormai era troppo tardi, fu ogni 21 gennaio ricorrenza della santa, di tener sbarrate le porte di qualche chiesa e questo perché non vi potessero far pellegrinaggio le prostitute in omaggio alla loro protettrice. Fu solo un palliativo che non fermò la consuetudine di santificare la giornata dedicata alla martire Agnese con lauti pranzi conditi con pettegolezzi. Una gran festa mai codificata, ma da sempre rispettata nel capoluogo abruzzese e che è anche segno distintivo degli aquilani. All'inizio la passione per la maldicenza come fluido liberatorio e trionfo della libertà appassionò il popolino, ma si diffuse poi anche tra le classi abbienti. Borghesia e nobiltà iniziarono ad apprezzare questa usanza che aveva il buon sapore delle cose genuine. Si formarono fazioni e confraternite (tanto care a tutti gli italiani) con titoli onorifici e riconoscimenti ispirati all'abilità di sparlare, fare cappotti, infangare tutto e tutti, ma sempre con ironia e buon gusto. La maldicenza ebbe anche un suo momento eroico: nel '400, durante la guerra tra gli aquilani e Fortebraccio da Montone, quando l'esercito del capitano di ventura fu messo in fuga, oltre che dall'abilità guerresca degli avversari, dalla valanga di insulti che gli venivano rovesciati contro. Il convegno vuole analizzare attraverso l'intervento di alcuni studiosi, il significato del connubio fra tradizione e maldicenza, per giungere infine a una riflessione sugli effetti sociologici ed etici della secolare celebrazione che, per il momento, appare tutta e solo aquilana. Non è infatti escluso che gli aquilani chiedano il marchio «doc» per la «sana maldicenza» e decidano di esportarla in tutto il mondo. Il successo è assicurato.

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