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Natale, lessico familiare

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Il Natale come meditazione e nostalgia. Basta leggere gli epistolari e i racconti custoditi dall'Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano. Tra i percorsi autobiografici che la Fondazione archivio diaristico nazionale tramanda ci sono storie di ogni genere. Dalle ultime narrazioni presentate lo scorso novembre dal titolo «Esuli pensieri, scritture migranti», uno spaccato profondo su cosa scrivevano gli italiani che partivano in cerca di fortuna sino alle narrazioni di guerra e ai ricordi riguardanti il Natale. Le storie sono tante, quasi delle confessioni, dove le vicende personali si trasformano in metafore esistenziali. Si legga «Il fico dalle uova bianche» dalla memoria di Angelantonia Ricci dove i ricordi di un'infanzia serena trascorsa nella campagna ravennate si intrecciano con quelli sulla famiglia e sulle tradizioni. «Con l'approssimarsi del Natale - scrive l'autrice - c'era, fra le altre innumerevoli cose da preparare, la lettera per i genitori che si metteva quasi sempre sotto il piatto del babbo. Si preparava a scuola, con molti luccichini d'argento e molte promesse di futura buona condotta... Eccola lì, sotto il piatto dei cappelletti; occhieggiavano gli angoli indiscreti ma il babbo fingeva di non vederli, aspettando di sorprendersi al momento di togliere il piatto». Sono ricordi di fatti di una quotidianità che riporta spesso alle solite cose. Come ne «I Quaderni di Luisa. Diario di una resistenza casalinga» (edizioni Terre di Mezzo) dove Luisa scrive: «Caro quaderno, sono le ore 6 del mattino e io con il Natale vicinissimo ho una montagna di lavoro da fare, devi sapere che la festa di Natale la passerò in casa e avrò la famiglia di mio marito come ospiti... In questo periodo ho uscito più del solito per fare le spese e ho provato a cucinare più di qualche ricetta e alcune le ho trovate buone per poterle fare il giorno di Natale, il pesce ce l'ho avvolto nella carta di alluminio già condito nel congelatore e il baccalà è nell'ammollo». Nel «Ritratto di Jovo con capretta. Diario di un dopoguerra serbocroato» di Elisa Frassetto (edizioni L'Harmattan Italia) gli odi scaturiti dal conflitto fanno i conti con l'idealismo di una giovane studentessa. «Che Natale triste - racconta nel diario - È caduta una marea di neve e siamo isolati... Abbiamo preso su un vecchio alberello secco e stecco per farne l'albero di Natale e l'abbiamo infilato in un vaso pieno di sassolini che lo sorreggessero. Poi per abbellirlo abbiamo messo qualche mandarino (gran lusso in arrivo dalla Dalmazia) e abbiamo ritagliato qualche stella nel cartone». Nelle memorie della famiglia Raffagni, dal titolo «Cari genitori so poco scrivere», ambientato in una Firenze che va dal 1885 al 1946, biglietti di auguri natalizi, cartoline e fotografie riescono a ricostruire un autentico ritratto d'epoca. Nel racconto, curato da Andrea Franceschetti, dell'Archivio dei diari, intitolato «Sette Natali ed una Pasqua», l'autrice, Tatiana Quercia de Bartolomeo, figlia di una profuga zarista e di un funzionario dell'ambasciata italiana di Costantinopoli, scrive dei contrasti sentiti ancora più forti in occasione delle festività natalizie a causa delle diverse origini culturali e religiose dei protagonisti. «I Natali di Tatiana sono al plurale - spiega Franceschetti - Il Natale italiano e quello russo, separati da uno scisma e da tredici giorni. Natali differenti nei pasti, con capitoni, panettoni, frutta secca e spumante da una parte e brodo di funghi, porcellino di latte e kascia di grano saraceno dall'altra ma con l'abete, re incontrastato e illuminato di tutte le feste». A Natale, insomma, i ricordi sono tanti: tutto sta a non dimenticarli.

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