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di ANTONIO CALITRI RINNOVARE le case di moda per attrarre e coccolare il cliente globale del lusso.

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A cominciare da Gucci, che ha prestato perfino il suo nome come testimonial della campagna pubblicitaria che imperversa sulle principali testate, per finire alle altre 13 delle 20 principali firme che stanno lavorando in quest'ottica (compresa una grossa casa di moda romana) sembra che per sopravvivere sia diventato indispensabile il fashion on demand. Ma cosa significa precisamente? «Dalla fine del 2001 - spiega Gaetano Sodo, partner del settore fashion della IBM Business Consulting Services - le aziende della moda sono entrate in crisi a causa di diversi fattori come il terrorismo, la Sars e il cambio euro-dollaro. Così, la gestione di quei costi che durante la crescita vorticosa non erano stati presi molto in considerazione, è diventata importantissima. Abbiamo studiato attentamente la situazione che ha colpito le aziende della moda e capito che bisognava innanzitutto intervenire sui costi di distribuzione. In pratica, se è fondamentale per l'azienda mantenere il controllo della produzione e anche il rapporto finale con il cliente, meno incidono il trasporto e in buona parte la logistica». Per questo, i consulenti di IBM come primo obiettivo hanno cercato di contenere i costi e subito dopo hanno puntato a creare una rete che va dalla fase delle produzione a quella del cliente finale per sapere in ogni momento come sta rispondendo il mercato a una collezione, a un prodotto o addirittura a un determinato colore. «Abbiamo pensato alla rete informativa - continua Sodo - perché oggi la velocità è fondamentale per vincere sul mercato. Nella moda se fino a qualche anno fa si ragionava per stagioni, adesso i prodotti vengono lanciati continuamente e quindi è fondamentale riuscire a capire come reagiscono il mercato e il cliente finale senza aspettare il resoconto della stagione, per poter intervenire per modificare le aspettative del cliente». La ciliegina finale del nuovo rapporto tra marche e cliente, che potremo sperimentare già nei prossimi mesi nelle principali boutique, sta tutta negli ultimi fattori della strategia «on demand». «Il cliente - conclude Sodo - è un patrimonio indispensabile della marca e soprattutto se è fedele a una determinata marca non può essere disperso anche se non si rivolge allo stesso negozio. Un cliente di Gucci, come anche di Armani e Prada per esempio, deve essere riconosciuto e trattato allo stesso modo, sia quando si rivolge al negozio della sua città dove magari lo conoscono personalmente, sia quando si trova nel negozio di New York o di Tokio. Per questo è indispensabile che tutte le informazioni che si hanno su quel cliente e si acquisiscono di volta in volta, creino una scheda a disposizione di tutto il personale dei negozi e dell'azienda, in maniera che questo venga subito riconosciuto e messo a suo agio, secondo quelle che sono le sue esperienze». Una fidelity card come nei supermercati? «Non proprio, le card nella moda non sono molto utilizzate. Basterà il nome e grazie alle moderne tecnologie il personale saprà già le preferenze e le intenzioni di acquisto del cliente e si comporterà nella maniera più adeguata. Riconoscerà quanto importante è questo cliente per la marca e anche se non lo ha mai visto prima, gli offrirà dei servizi supplementari come l'accesso al web per prenotare, la consegna a domicilio, l'auto a disposizione per raggiungere il negozio, ecc.. Tutto solo pronunciando il proprio nome in un determinato negozio della rete della determinata marca. Per far questo però, servirà anche del personale qualificato che venga incentivato a stare in quel negozio e non faccia come accade oggi per i commessi, che cambiano continuamente negozio».

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