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«Le favole possono essere ancora utili ma devono aiutare a spiegare la realtà»

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Quando un editore francese, nel trecentesimo anniversario della morte di Charles Perrault, mi ha chiesto di riscriverla, l'ho riletta e ho pensato che avrei potuto modificarla». Così è cominciato l'originale esperimento che ha portato Tahar Ben Jelloun a scrivere una nuova stesura della Bella addormentata (Fabbri, 106 pagine, 15 euro). Anche questa favola è servita allo scrittore marocchino (nato a Fez nel 1944 ma trapiantato a Parigi) per continuare la sua campagna contro l'intolleranza razziale, iniziata nel 1996 col manuale «Il razzismo spiegato a mia figlia». «Oggi viviamo in un'epoca più fosca e tormentata di quella in cui visse Perrault - mi dice Ben Jelloun - perciò è necessario raccontare ai nostri bambini cosa accade veramente, non bisogna confondere loro le idee sul mondo che li circonda. Dobbiamo preparare i nostri figli all'avvenire che li aspetta. Con questo non voglio dire che sono pessimista. Anzi, ho molta fiducia nel futuro. Allo stesso tempo, però, penso che bisogna tenere gli occhi bene aperti su questo mondo pieno d'incoerenza, d'ingiustizia, di guerre e di altre cose terribili che ci travolgeranno se non faremo nulla per eliminarle». La favola può essere ancora un esorcismo efficace contro il male che serpeggia nel mondo? «Certamente, anche se bisogna fare i conti con la concorrenza degli altri mezzi che occupano il tempo dei nostri bambini, come la televisione e gli strumenti di svago elettronici. Questi sono conquiste tecnologiche e scientifiche eccezionali, ma il loro valore dipende dall'uso che se ne fa. Personalmente preferisco tornare all'archeologia del libro, perché credo che una società che privilegia la comunicazione per immagini, rubando spazio al libro, sia una società che perde l'anima». Come è riuscito ad adattare ai nostri tempi una favola scritta trecento anni fa? «Ho deciso di trasformare il personaggio della principessa in una donna bianca che un giorno si risveglia con la pelle nera. Anche nella nostra epoca moderna e cosmopolita il razzismo è molto radicato nella mentalità della gente, e nonostante gli sforzi che facciamo per correggere questa devianza, essa è dura a morire. Per questo penso che non bisogna mai perdere l'occasione, a cominciare dalla scuola, per fare in modo che i ragazzi aprano gli occhi su quanto avviene sulla Terra. Ci sono poche possibilità che la mentalità di un adulto cambi, ma molto di più si può fare educando i bambini ad avere sentimenti più giusti e tolleranti, idee più generose e umane». Come si è trovato nei panni del favolista? «Mi ha aiutato molto la mia condizione di padre di famiglia e dunque di pedagogo. Non avrei mai scritto libri come "Il razzismo spiegato a mia figlia" e "L'Islam spiegato ai bambini" se non fossi stato papà. I figli cambiano la nostra visione delle cose, perché siamo responsabili della loro educazione: dal momento che li abbiamo messi al mondo, abbiamo il dovere di trasmettere loro dei principi giusti». Cos'è veramente il razzismo? «Il razzismo è un elemento dirompente che appartiene alla natura dell'essere umano come tale: poiché siamo uomini, abbiamo paura di tutto ciò che non conosciamo, che ci è estraneo. Perciò dobbiamo preparare i nostri figli a vivere nella realtà così com'è, senza nasconderla dietro il velo delle favole. Sulla Terra ogni quindici secondi un bambino muore di fame, e secondo la Fao sono ben ottocento milioni le persone che soffrono la fame, mentre noi, cittadini della società occidentale democratica e libera, viviamo in un paradiso. Un paradiso che ovviamente dobbiamo proteggere, affinché i nostri figli continuino ad avere tutto ciò di cui hanno bisogno, ma senza dimenticare che ci sono tanti altri esseri meno fortunati di noi, condannati alle sofferenze e alla morte solo perché l'umanità è ingiusta e sacrifica i più deboli». Di fronte a problemi tanto complessi, qual è il compito dello scrittore? «Lo scrittore è qualcuno che, pur

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