Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di LORENZO TOZZI CI VOLEVA una festosa serata inaugurale di stagione per riportare al glorioso ...

default_image

  • a
  • a
  • a

In un momento caldo per la città (con una dimostrazione di disoccupati contro la finanziaria che blocca Piazza Plebiscito e si spinge sin sotto i portici del teatro) il capolavoro straussiano è tornato dunque in scena in lingua originale con un cast vocale tutto germanico ed in una edizione pregevole a firma del regista Klaus Michael Grüber e soprattutto con le scene costruite ed i costumi del noto pittore Anselm Kiefer. Il nuovo allestimento scenico, molto appropriato e suggestivo, sprofonda la vicenda quasi mitica di Elettra nel fondo di una sorta di pozzo, un cortile delimitato su tre lati da una tetra struttura color cemento a gradoni o terrazze sovrapposte, una sorta di cavea geometrica, ma anche un nosocomio per malati di mente o una città morta, nella quale come su palcoscenici multipli si muovono come ombre pietrificate, la servitù, la coppia reale ed i figli di Agamennone. Il tono ossessivamente dominante è il grigio marmoreo chiaroscurato nelle sue diverse sfumature. E collocazione migliore non poteva esserci vista la lettura del libretto di Hoffmansthal nella chiave di una introspezione psicoanalitica nella mente di Elettra, tragica eroina affetta dalla monomania ossessiva della vendetta del padre ucciso da Clitennestra e dal suo amante Egisto. Tutti i personaggi della inesorabile vicenda (la coppia assassina ma anche la più titubante e giovane sorella Crisotemide e il decisivo Oreste essenziale alla cruenta soluzione finale della storia) sono così visti quasi solo con gli occhi della protagonista, quasi sue proiezioni mentali tra lucidità e follia. La struttura scenografica ora proiettata in un'inquietante penombra, ora solcata da torce elettriche o flagellata da gelide luci, offre il destro a porte, gallerie, anfratti cavernosi come eloquente metafora delle zone d'ombra, dell'inconscio in cui è irretita la mente di Elettra ma anche di un fato incombente e minaccioso. Una vicenda senza tempo che vive tutta nell'animo della tragica figlia di Agamennone (una splendida Gabriele Schnaut) che finisce esaltata in una selvaggia e scomposta ridda danzata dionisiacamante. Clitennestra, imprigionata nel suo mantello di gesso, era Mette Ejsing; davano voce rispettivamente alle figure della pavida Crisotemide, di Oreste ed Egisto gli ottimi Inga Nielsen, Peter Edelmann e Siegfried Jerusalem. Un'apprezzabile orchestra era diretta da Gabriele Ferro, che ha saputo conferire alla sanguigna vicenda i tratti di un' incandescente temperatura senza cali di sorta. Trionfali accoglienze.

Dai blog