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di MARCO PATRICELLI «TUTTO qui?».

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Il musicista si era seduto al pianoforte per anticipargli il fulcro della sua nuova composizione, il Sacre du printemps: un accordo di tredicesima (sovrapposizione di un accordo di fa bemolle maggiore con uno di mi bemolle settima) che sprigionava la frustata percussiva e ritmicamente irregolare degli "Àuguri primaverili - Danza delle adolescenti". Qualcosa di mai ascoltato prima, di un'energia e di una violenza selvaggia in linea con i Quadri della Russia pagana (è il sottotitolo del balletto) e del tutto fuori sintonia con le mode e gli stili musicali dell'epoca. Djagilev, che pure aveva spronato Stravinskij a scrivere questo nuovo lavoro per i suoi Ballets Russes, non era riuscito a dissimulare la sua freddezza. Stravinskij aveva pensato al Sacre ancora una volta grazie a una visione: mentre Petruska doveva la sua genesi al sogno di un pianoforte che lottava con l'orchestra, quest'altro lavoro era stato evocato dallo «spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera», come scrisse l'autore nel 1935 nelle Croniques de ma vie. Una partitura che avrebbe segnato lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo e lanciato Stravinskij come compositore-simbolo del '900. Sulle fragili spalle di Waslaw Nijinskij, grandissimo ballerino ma in questo caso mediocre e spaesato coreografo, Djagilev fece poggiare il balletto stravinskijano, nonostante il compositore avanzasse riserve; Mikhail Fokin, che aveva diviso i suoi destini da quelli dell'impresario dei Ballets Russes, non era più disponibile. Nijinskij, digiuno di rudimenti di musica, esasperò la compagnia con le prove, spiazzato dalle audacie e dalle innnovazioni armonico-ritmiche del Sacre e sotto gli occhi sconcertati di Stravinskij, combattuto tra la stima per l'artista e la constatazione della sua incapacità di comprendere la partitura. Il 28 maggio 1913, al Théâtre des Champs Elysées, il sipario si levava sul balletto russo affidato alla direzione di Pierre Monteux. Bastarono poche note, a partire dall'inusitato assolo del fagotto in registro sovracuto, per segnare la serata. I brusìi si trasformarono in parole, le parole in chiasso, il chiasso in gazzarra mentre Nijinskij dietro le quinte si sbracciava a scandire il tempo che i ballerini non potevano tenere e che l'orchestra non riusciva a dare, sommersa dalle proteste del pubblico. Un autentico fiasco. Nessun interprete arrivò alla fine dello spartito: il sipario si abbassò per ricoprire ballerini e coreografie. Sul palco e in platea non si capiva più nulla. L'intelligencija parigina si ritrovò a seguire uno spettacolo nello spettacolo. Lo stesso Stravinskij si trovò disorientato. Non vide per sei settimane alcun'altra rappresentazione del Sacre du printemps, perché costretto a letto da una febbre tifoidea, ma avrà il tempo di vedere lo strepitoso successo e la consacrazione di un capolavoro assoluto, nel 1914, sotto forma di concerto e con la stessa direzione di Monteux. Quella sera di maggio a Parigi era cambiata la storia della musica. E quelle note fanno parte della colonna sonora del '900, rese popolarissime dai cartoni di Disney. Con un aneddoto tutto da raccontare. Stravinskij era molto sensibile al fascino del denaro e quando nel 1940 Walt Disney gli fece ascoltare l'arrangiamento che Stokovski aveva realizzato per «Fantasia», disse che non riconosceva la sua musica e che quindi non avrebbe acconsentito al suo utilizzo nel film. Ma quando Disney gli fece balenare la possibilità che non gli riconoscesse alcuna royalty Stravinskij acconsentì.

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