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Assolto in appello Binda: non ha ucciso lui Lidia Macchi

Davide Di Santo
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I giudici della Corte d'assise d'appello di Milano hanno assolto "per non aver commesso il fatto" Stefano Binda, accusato e condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio di Lidia Macchi, violentata e uccisa con 29 coltellate nel 1987. La riapertura del processo è servita per ribaltare la sentenza iniziale. Contro l'uomo, 52 anni, ex compagno di liceo della 21enne, c'era - a dire dell'accusa - la poesia 'In morte di un'amica' inviata ai genitori della vittima, per posta, il giorno del funerale. "Il poeta anonimo è certamente Stefano Binda" e "Binda ha scritto quella lettera perché ha vissuto i fatti descritti", ossia l'omicidio di Lidia. E uno dei passaggi della requisitoria del sostituto pg Gemma Gualdi davanti ai giudici della Corte d'assise d'appello di Milano.  "Quella poesia è stata scritta da Binda" si trova su un foglio che "proviene da un quaderno sequestrato a casa sua" per la rappresentante dell'accusa c'è la "certezza scientifica" che il foglio sia stato prelevato da quel quaderno. Secondo il pg, è "inutilizzabile" la testimonianza - ascoltata in aula - resa la dal penalista Piergiorgio Vittorini, che ha raccontato che nel 2017 un suo cliente, di cui non ha rivelato il nome, gli avrebbe detto di essere l'autore della missiva.  Accuse respinte dallo stesso imputato che in delle dichiarazioni spontanee in aula si è difeso: "non l'ho uccisa io, non so nulla di quella sera". Parole che hanno convinto i giudici che lo hanno assolto ordinando l'immediata scarcerazione: Binda una volta tornato nel carcere di Busto Arsizio, dove è detenuto dal gennaio 2016, potrà tornare a casa. La sentenza che ha stabilito l'assoluzione per Stefano Binda in appello nel caso del processo per l'omicidio di Lidia Macchi, avvenuto nel 1987 "e' la trentesima coltellata a Lidia: aspettiamo le motivazioni e poi certamente faremo ricorso per Cassazione perche' riteniamo che questa sentenza sia profondamente ingiusta ed emessa da una corte che avevamo ricusato". Lo ha detto Daniele Pizzi, l'avvocato della famiglia Macchi, partire civile nel processo d'Appello a Milano. "Col senno di poi avevamo fatto bene a ricusare questa Corte, perche' i giudici avevano anticipato indebitamente il loro convincimento e il giudizio che poi oggi avevamo pronunciato" ha aggiunto il legale. Che ha poi definito il processo di secondo grado come "caratterizzato da superficialità  e fretta rispetto a quello di primo grado. Tre udienze in tredici giorni senza il desiderio di approfondire rappresentano un insulto alla morte di Lidia, e' qualcosa di irrispettoso per la sua memoria". "Si poteva giungere a questa conclusione ma dopo un'istruttoria seria e approfondito" ha concluso. Ammettendo infine che la famiglia Macchi "si aspettava questa sentenza fin dalla prima udienza". 

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