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Teste di agnello mozzate e attacchi incendiari, blitz contro la mafia viterbese: 13 arresti

Le indagini avviate a dicembre 2017 dai carabinieri del Nucleo investigativo e dalla Compagnia di Viterbo

Valeria Di Corrado
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Teste di agnello mozzate, lumini funebri, scritte minatorie sulle vetrine e decine di auto incendiate, persino quelle di due carabinieri. La tranquilla cittadina di Viterbo si è risvegliata nell'incubo che vivono i comuni della Calabria in cui spadroneggiano gli 'ndranghetisti. Dalle prime luci dell'alba, i carabinieri del Comando provinciale di Viterbo, con l'ausilio di elicotteri e unità cinofile per la ricerca di armi e droga, stanno dando esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare, che ha portato 11 persone in carcere e 2 agli arresti domiciliari, con le accuse (a vario titolo) di: associazione di tipo mafioso, estorsioni, danneggiamenti, incendio, furto, tentativi di rapina, lesioni personali, favoreggiamento personale, illecita concorrenza con violenza o minaccia, detenzioni di armi comuni da sparo. Le indagini avviate a dicembre 2017 dai carabinieri del Nucleo investigativo e dalla Compagnia di Viterbo, prima sotto la direzione dalla Procura della Tuscia e poi sotto quella della Dda di Roma, hanno permesso di scoprire l'esistenza di un sodalizio criminale che faceva capo al calabrese Giuseppe Trovato (detto Peppino) e all'albanese Ismail Rebeshi (detto Ermal); i quali, attraverso il ricorso sistematico alla violenza e a metodi prettamente mafiosi, avevano come obiettivo quello di "controllare il territorio". In particolare, controllare il mercato degli stupefacenti, il recupero crediti e alcuni settori economici: il commercio di preziosi usati (Trovato è titolare di tre "Compro oro" a Viterbo); i locali notturni frequentati da stranieri (di cui si interessava l'altro capo, Rebeshi); e i traslochi (di cui si occupava un altro albanese, Gabriele Laezza).  L'organizzazione, frutto della fusione tra la metodologia mafiosa calabrese importata da Trovato e l'inclinazione violenta della criminalità albanese propria di Rabeshi, è stata capace di diffondere nel capoluogo della Tuscia timore e soggezione. Basti pensare ai continui atti intimidatori messi in atto da gennaio 2017 a oggi (gli investigatori ne hanno ricostruito una cinquantina). A un commercialista di Viterbo, ad esempio, sono state incendiate di notte due auto e danneggiata una terza, gli è stata inviata una lettera minatoria con all'interno alcuni proiettili e gli è stato fatto ritrovare un animale selvatico morto. I titolari dei "Compro oro" concorrenti sono stati presi letteralmente di mira. Uno di loro, tra settembre e novembre 2017, si è svegliato la mattina trovando incendiate due macchine, vedendo appese sulla serranda del negozio tre teste di maiali con proiettili conficcati sulla fronte, oltre a lumini funebri e scritte minatorie che imbrattavano la vetrina. Le fiamme appiccate all'auto di un altro rivenditore di preziosi usati, invece, hanno finito per interessare anche l'abitazione dove viveva con la madre anziana, deceduta dopo qualche giorno.  Le indagini, coordinate dai pm Michele Prestipino, Giovanni Musarò e Fabrizio Tucci, hanno evidenziato il profondo rancore nutrito dal gruppo criminale nei confronti delle forze dell'ordine. Astio sfociato in pedinamenti per studiare le loro abitudini di vita e nell'incendio delle macchine di due carabinieri (uno dei quali aveva partecipato all'arresto per droga di Rabeshi). Gli stessi militari sono riusciti a sventare il tentativo degli indagati di dare alle fiamme l'auto di un agente della polizia, "responsabile" di aver avviato una serie di controlli amministrativi sui "Compro oro" gestiti da Trovato.

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