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Sparò agli immigrati per vendicare Pamela: 12 anni a Traini

I giudici: "Strage aggravata dall'odio razziale"

Valeria Di Corrado
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«Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti gli altri giorni che verranno, può dipendere da quello che farete voi oggi». Quello che è accaduto ieri, forse, servirà da monito per dissuadere chiunque mai possa pensare di imitare il folle gesto di Luca Traini. Al termine della sua requisitoria, il procuratore capo Giovanni Giorgio ha invitato la Corte d'assise di Macerata a mettersi una mano sulla coscienza, condannando il 29enne di Tolentino a 12 anni di reclusione per il raid xenofobo dello scorso 3 febbraio. Per essere ancora più incisivo, il pm ha preso spunto dal discorso che un mese fa Barack Obama ha pronunciato durante la cerimonia funebre del senatore repubblicano John McCain. In quell'occasione, l'ex presidente degli Stati Uniti ha citato un passaggio del romanzo di Ernest Hemingway "Per chi suona, la campana". Una frase che ha fatto breccia nei sei giudici popolari e nei due togati, che, dopo tre ore di camera di consiglio, hanno accolto in pieno la richiesta della Procura, infliggendo a Traini 12 anni per i reati di strage, porto abusivo d'armi e danneggiamenti. L'imputato ha beneficiato dello sconto di un terzo della pena per la scelta del rito abbreviato. Anche se ha pesato, nel calcolo finale, il fatto che la Corte l'abbia ritenuto capace di intendere e di volere e il riconoscimento dell'aggravante dell'odio razziale, nonostante il giovane (con un passato di militanza nella Lega) abbia più volte precisato: «Non volevo colpire i neri. Volevo colpire gli spacciatori. Non è colpa mia poi se a Macerata tutti gli spacciatori sono di colore». Il sillogismo aristotelico sfoderato da Traini, però, non ha convinto i giudici di primo grado. Non fosse altro perché, il giovane, nel momento in cui ha sparato dalla sua auto per le strade della città, non conosceva le vittime. Non poteva quindi sapere che fossero degli spacciatori. Ma, viceversa, era a lui evidente quale fosse il colore della loro pelle. Fatto sta che, neanche a farlo apposta, uno dei 6 immigrati feriti costituitesi parte civile nel processo è stato arrestato un mese fa per spaccio. Nelle spontanee dichiarazioni rilasciate all'inizio dell'udienza l'ha ricordato: «Recentemente ho provato profonda amarezza nel constatare che tra le vittime della mia follia vi sono realmente spacciatori». «Sono stato additato di razzismo, a oggi posso però affermare dal profondo del mio animo che questo termine non mi è mai appartenuto», ha precisato Traini, spiegando che a muoverlo è stata la volontà di vendicare l'atroce omicidio di Pamela Mastropietro. «Quella mattina del 3 febbraio ho vissuto un conflitto interiore. Mi sentivo investito di un "dover agire". Fra mille pensieri che avevo, uno solo era un imperativo che non trovava risposta, se non quello di dover punire quelle persone, a cui la mia mente imputava una sorta di associazione con coloro i quali avevano commesso quello scempio contro la povera ragazza romana». Il suo pentimento, unito al fatto che fosse incensurato, ha portato il pm a chiedere le attenuanti generiche. Ma la Corte d'assise non gliele ha riconosciute. Nemmeno le vittime hanno accettato le sue scuse: «Non lo perdono, visto che ha provato a uccidermi», ha detto Wilson Kofi, ghanese. «Il reato di strage non sta né in cielo né in terra – ha commentato l'avvocato Giancarlo Giulianelli – Il clima che si è creato intorno a questo processo ha condizionato senz'altro i giudici». Il legale di Traini ha annunciato il ricorso in appello, sede nella quale, probabilmente, chiederà un patteggiamento. Anche se il suo assistito ha detto di preferire il carcere ai domiciliari: «Ho sognato che mi davano 6 anni e 8 mesi», ha detto al suo difensore prima di sapere il verdetto.

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