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Web, social e rischi: la polizia lancia il "toolkit" per gli studenti

Silvia Mancinelli
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Nove ragazzi su 10 usano Instagram per comunicare tra loro, 6 su 10 hanno e usano giornalmente i social network, in contatto globale, 24 ore su 24: per 9 ragazzi su 10 sempre soprattutto attraverso gli smartphone. È quanto emerge da una ricerca scientifica realizzata dall'Università Sapienza di Roma e dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni con la collaborazione del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità al centro di un incontro che si è svolto, oggi, al polo Anticrimine Tuscolano della Polizia di Stato alla presenza del Capo della Polizia Franco Gabrielli sui pensieri, le emozioni e le convinzioni che i ragazzi esprimono quando si confrontano con i comportamenti illegali in rete. Sotto la lente degli investigatori proprio i fenomeni sorprendenti, complessi, sfuggenti che costituiscono l'altra faccia della medaglia dello stretto rapporto tra giovani e tecnologia: cyberbullismo, prepotenza cibernetica, adescamento on-line e sexting, per citare alcuni esempi. Casi denunciati alla Polizia Postale sono stati trasformati in un questionario dove 2000 "nativi digitali" tra i 13 e i 17 anni hanno espresso in forma anonima quali comportamenti considerano gravi, quali colpe attribuiscono alle vittime, quali adulti vorrebbero coinvolgere qualora fossero protagonisti di storie simili, e in ultimo quanto sanno comprendere effettivamente le conseguenze che alcune semplici azioni virtuali producono nella realtà. Dalla ricerca emerge che il web nell'immaginario dei ragazzi sembra ancora assomigliare a una terra di nessuno, dove in 6 casi su 10 condividono immagini; in 2 casi su 10 diffondono video; in 6 su 10 scambiano messaggi e post. Azioni tanto semplici da non essere da loro percepite come reati, considerate reversibili, legali e in grado di generare solo piccoli dolori alle vittime. L'analisi dei dati ha evidenziato come gli adolescenti sembrino prendere le azioni online come un gioco privo di conseguenze: parole pesanti, indiscrezioni diffamatorie, aggressioni verbali in rete sembrano essere senza conseguenze per loro. Solo nel 36% dei casi i ragazzi delle scuole superiori dimostrano di comprendere correttamente che i video o le immagini postate abbiano un pubblico potenzialmente globale ed eterno quando vengono immesse in rete. Più del 60% dei piccoli internauti crede di poter limitare l'accesso ai contenuti che condivide sui social in modo definitivo, rispondendo alla domanda “il materiale che condividi a chi è accessibile?” scegliendo l'opzione “solo destinatario” e “solo utenti del social”. Se si è vittima di reati on-line, i genitori per 7 ragazzi su 10 sono i primi a cui chiedere aiuto, soprattutto per i più giovani, mentre tra i più grandi 6 su 10 cercano conforto nei coetanei e per 5 su 10, indipendentemente dall'età, sono le forze dell'ordine la scelta elettiva per interventi di tutela. Emerge una forte tendenza dei ragazzi a colpevolizzare la vittima quando questa corrisponde a richieste (“in fondo ha mandato lei le foto, ha condiviso lei i video”), la ritengono responsabile in prima persona del danno che subisce quando, diffondendo immagini personali, accetta implicitamente il rischio che siano viralizzate in rete. La vendetta per uno smacco virtuale è ammessa e non c'è molta comprensione per la sofferenza di chi viene umiliato, diffamato, deriso in rete. L'insieme di queste importanti considerazioni provenienti dalla ricerca ha orientato la definizione dei contenuti del Toolkit per la formazione Safe-Web: osservazione e azione per la protezione degli studenti in rete insieme alla Polizia di Stato. Si tratta di uno strumento pratico pensato per insegnanti, adulti determinanti nella vita dei ragazzi e vicini ai linguaggi dei giovani e che riassume la pluriennale esperienza di contatto diretto della Postale con vittime e autori di reati on-line, con le loro famiglie, con educatori e operatori della tutela dei minori. Il Toolkit illustra fenomeni allarmanti per gli adulti, purtroppo frequenti nell'esperienza dei ragazzi, come l'adescamento in rete nelle sue forme più attuali, il cyberbullismo, i disturbi alimentari condivisi in rete, l'autolesionismo e il gioco on-line come nuove forme di dipendenza psicologica virtuale, con una formula aperta alle integrazioni e alle novità emergenti. 

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