Scattone cede alle polemiche e rinuncia
L'ex ricercatore condannato per l'omicidio Marta Russo lascia la cattedra: "Lo faccio per gli studenti: per insegnare ci vuole serenità e io l'ho persa"
Per la legge è un assassino. La stessa legge, però, gli permette di lavorare e insegnare, che è il suo mestiere. Ma per farlo ci vuole serenità e le polemiche sollevate sulla sua «promozione» a docente di ruolo grazie alla Buona Scuola di Renzi l'hanno convinto che quella serenità non c'è. Così ieri Giovanni Scattone ha preso la sua decisione: rinuncia alla cattedra che pure gli spettava di diritto. Una scelta condivisa dalla madre della vittima, Aureliana Russo, che ha liquidato le motivazioni dell'ex ricercatore di Filosofia del Diritto con una frase lapidaria: «Dice che non è più sereno? Beh, noi non lo siamo più da diciotto anni». Diciotto anni fa, era la tarda mattinata del 9 maggio 1997, la figlia di Aureliana, Marta, all'epoca ventiduenne studentessa di Giurisprudenza, si accasciò sull'asfalto della Sapienza mentre camminava con un'amica. Un proiettile l'aveva colpita alla testa. Un mese e mezzo più tardi, le indagini individuarono in due futuri assistenti della facoltà, Scattone e Salvatore Ferraro, i responsabili del delitto. Un anno e mezzo dopo Scattone fu condannato in primo grado per omicidio colposo, anche se la Procura aveva tentato prima di ottenere una condanna per omicidio volontario e poi sotto il profilo del dolo eventuale, cioè Scattone aveva sparato involontariamente con una pistola (che non sapeva fosse carica) da una finestra dell'ateneo e però aveva accettato consapevolmente la possibilità che l'evento (il delitto) si verificasse. Al quinto grado di giudizio, nel 2003, la Cassazione confermò la condanna, ma cancellò l'interdizione ai pubblici uffici perché l'omicidio non era stato volontario. Diritti ora messi in discussione dalla «giustizia sommaria» delle proteste e delle polemiche. Tanto da convincere il docente a rinunciare. «La mancanza di serenità mi induce a rinunciare all'incarico per rispetto degli alunni che mi sono stati affidati. Ho sempre ritenuto che per essere un buon insegnante si debba, anzitutto, essere persona serena - sottolinea Scattone, assistito dal suo legale Giancarlo Viglione - Oggi, in ragione di queste polemiche, non ho più la serenità che mi ha contraddistinto nei dieci anni di insegnamento quale supplente, anni caratterizzati da una mia grande soddisfazione legata soprattutto al costruttivo rapporto instauratosi con alunni e genitori». Poi lo sfogo: «Così questo Paese mi toglie anche il fondamentale diritto al lavoro. Dopo la tragedia che mi ha colpito, solo la speranza mi ha dato la forza di andare avanti - prosegue Scattone - La speranza che un giorno la parte sana di questo Paese, che pure c'è ed è nei miei tanti ex alunni che in questi giorni mi sono stati vicini e nella gente comune che mi ha manifestato tanta solidarietà, possa divenire maggioranza. La mia innocenza, sempre gridata, è pari al rispetto nei confronti del dolore della famiglia Russo. Ho rispettato, pur non condividendola, la sentenza di condanna. Quella stessa sentenza mi consentiva, tuttavia, di insegnare. Ed allora - conclude - sarebbe stato da Paese civile rispettare la sentenza nella sua interezza». Rincara la dose Francesco Petrelli, il penalista che l'ha assistito durante la lunga vicenda processuale: «Il suo gesto e le parole che lo hanno accompagnato dimostrano grande maturità e sensibilità - osserva - Da tutta la vicenda, pur nel rispetto pieno del dolore della famiglia per una vittima innocente, il sistema giudiziario nel suo insieme e la cultura che lo sostiene ne escono senz'altro mortificati». Per la madre di Marta, invece, la decisione di Scattone dimostra «buon senso. Ha fatto l'unica cosa giusta da farsi - ha detto - Sono contenta per gli studenti. Sono convinta che anche Scattone debba lavorare, ha scontato la pena. Ma non può essere un educatore. Con quello che ha fatto, questo non è il suo ruolo».
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