Quell'assassino mai scoperto che servì la minestra al cianuro
L'omicidio di Drancesca Moretti
Nella morte di Francesca Moretti, uccisa da una micidiale dose di cianuro, non c'è un colpevole. Nel "giallo" dai contorni sulfurei consumatosi in un appartamento spartano in via Scalo San Lorenzo 61 a Roma, non c'è una svolta. Non si saprà mai, con molta probabilità, quale faccia abbia avuto l'autore di questo delitto, come in un qualsiasi altro delitto perfetto sia mai stato commesso. VENTIDUE FEBBRAIO 2000 Francesca Moretti, 29 anni, laureata in Sociologia ad Urbino, vive nel quartiere di San Lorenzo con le coinquiline Daniela Stuto, studentessa di Psicologia, 25 anni, di Lentini e Mirela Nistor, rumena, cameriera in un bar della Capitale. Francesca è gioviale, affettuosa, socialmente attiva: ha lavorato per due anni nei campi nomadi di Roma ed ha finito per innamorarsi di un bel ragazzo rom, Graziano Halilovic, già sposato e padre di cinque figli. Da qualche giorno Francesca, che ha deciso di traslocare e di tornare a Pesaro, soffre di una dolorosa lombosciatalgia per la quale assume anti-dolorifici. Con Graziano vive una vera storia d'amore e vuole andare a vivere con lui ma l'uomo nicchia. Non perché non sia innamorato, no. È perché si rende conto di quanto tradizioni e stile di vita corrano fra loro e vuole meditare quella scelta. Una scelta che comporta anche la separazione dalla moglie alla quale vuole comunque bene e che è la madre dei propri figli. Lei, la compagna Fatima, ha parlato più volte al telefono con Francesca e l'ha minacciata, vuole che lasci stare suo marito. Una reazione ipotizzabile: in fondo, Graziano ha davvero perso la testa per quella ragazza estranea al loro mondo. A San Valentino le ha persino regalato cioccolatini ed una cornice. Quel 22 febbraio del 2000 il dolore alla gamba tormenta Francesca, che ha già preparato le valigie. Il giorno seguente tornerà a casa a Pesaro, nella camera da letto sono pronti scatoloni e valigie con le sue cose. Verso le quindici e trenta l'amica Daniela Stuto si offre di prepararle una minestra, con un formaggino all'interno. Francesca lo mangia, poi si rimette a letto. Alle sedici Daniela esce di casa per fare la spesa, resta solo Mirela, che vede la sua coinquilina cominciare a contorcersi dal dolore. Alle sedici e trenta Francesca Moretti appare cianotica: le sue gambe si sono gonfiate e riempite di macchie rosse tanto da spaventare l'amica rumena che chiama il proprio fidanzato, un poliziotto, e chiede aiuto. Alle diciassette e venti arriva l'ambulanza che la trasporta all'ospedale San Giovanni dove morirà senza un'apparente spiegazione, alle 19 e 35. L'autopsia svela che ad uccidere Francesca è stata una potente dose di cianuro. OMBRE E SOSPETTI Una settimana prima della morte della Moretti, alla coinquilina della vittima, Mirela, viene rubata la borsa, all'interno della quale c'erano le chiavi di casa. E ancora, mentre Francesca è con il suo uomo, nella casa di Tor San Lorenzo, vede l'ombra di una persona osservarli e poi scomparire velocemente. C'è poi Fatima, la moglie di Graziano, che l'ha minacciata più volte. Si ma come avrebbe potuto farle ingerire il cianuro? Gli investigatori accertano che né i rom, né Graziano, né sua moglie Fatima c'entrano con quella morte. Ed i sospetti s'indirizzano con la decisione di un cecchino contro Daniela Stuto. UN'AMICIZIA DISCUSSA Daniela Stuto, una giovane donna molto piacente ma non appariscente, viene arrestata l'otto gennaio 2001. Su di lei pochi e fragili indizi ma una valanga di chiacchiere. Si dirà tutto di lei: che ha messo il cianuro nella minestrina perché voleva vendicarsi di Francesca, che il giorno dopo se ne sarebbe andata perché, sempre secondo chiacchiere, lei avrebbe avuto un rapporto morboso con la sua coinquilina: ne sarebbe stata innamorata tanto da essere gelosa persino di Graziano. Viene sospettata di essere lesbica, per una intercettazione nella quale dice : «Sono con A... nel letto, facciamo zin zin». L'accusa definisce Daniela Stuto una "border line", manipolatrice ed astuta, che cova un malessere cattivo a causa di una infanzia difficile. E ancora: a Lentini, il suo paese d'origine, il cianuro si usa in campagna molto frequentemente. Ecco come è riuscita a procurarselo. E quando i periti spiegano che tra l'assunzione del veleno ed i primi sintomi non passano oltre i venti minuti (Francesca si è sentita male più tardi, quando Daniela era già uscita) l'Accusa cambia idea. Evidentemente Daniela Stuto ha inserito il cianuro nella bibita "canarino" che le preparava sempre e che le ha evidentemente fatto bere prima di uscire. C'è anche la controversa dichiarazione di un agente in servizio all'ospedale che riferirà: «Daniela Stuto, quando è arrivata al "San Giovanni" mi ha detto che altre volte la sua amica aveva tentato il suicidio». Tuttavia di quella confidenza non v'è traccia nel rapporto dell'epoca. L'imputata passa 15 mesi agli arresti domiciliari, un giorno ed una notte in cella ed in sede di processo di Primo Grado cede alle lacrime, asserendo con forza la sua innocenza. E, con grande dolore ricorda la sua amica e quanto le volesse bene. Daniela Stuto viene assolta per non aver commesso il fatto il 10 giugno 2002, poi in Appello il 16 giugno 2003. Sarà anche risarcita dallo Stato, cinquantaduemila euro per ingiusta detenzione. Oggi è una donna, ha avuto un bambino dal fidanzato di allora, svolge la professione di psicoterapeuta. Graziano, nel frattempo, è diventato presidente di Roma Onlus, associazione per i diritti dei nomadi. IL DIARIO DATO ALLE FIAMME Francesca teneva un diario nel quale annotava gli eventi della sua vita, grandi o piccoli che fossero. Quel diario è stato dato alle fiamme dalla madre «per tutelare la privacy di mia figlia». Quali segreti conteneva? E la fialetta vuota scoperta dalla sorella, due giorni dopo la sua morte, sotto al letto di Francesca, cosa conteneva? Resta un assassino nell'ombra, abilissimo nel celarsi. E altrettanto efficace nel compiere un delitto perfetto.
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