Il Papa agli scout: «Fate ponti non muri»
Centomila giovani dell'Agesci: «Aiutaci a cambiare in meglio il presente» E pure il vescovo ausiliare di Perugia si presenta a Francesco in pantaloncini
Una marea di camicie azzurre, con i caratteristici berretti e gli altrettanto tipici fazzolettoni di tutti i colori. Era il variopinto scenario offerto ieri mattina da piazza San Pietro, letteralmente assediata fin dalle prime luci dell'alba da circa 100.000 scout dell'Agesci giunti a Roma da ogni parte d'Italia per incontrare Papa Francesco. «Vi dirò una cosa - ma non vantatevi! -: voi siete una parte preziosa della Chiesa in Italia - ha esordito il Pontefice - Grazie! Forse i più piccoli tra voi non se ne rendono bene conto, ma i più grandi spero di sì! In particolare, voi offrite un contributo importante alle famiglie per la loro missione educativa verso i fanciulli, i ragazzi e i giovani. I genitori ve li affidano perché sono convinti della bontà e saggezza del metodo scout, basato sui grandi valori umani, sul contatto con la natura, sulla religiosità e la fede in Dio; un metodo che educa alla libertà nella responsabilità. Questa fiducia delle famiglie non va delusa! E anche quella della Chiesa: vi auguro di sentirvi sempre parte della grande Comunità cristiana». Francesco ha poi sollecitato gli scout a «fare ponti, fare ponti in questa società dove c'è l'abitudine di fare muri. Voi fate ponti, per favore! E col dialogo, fate ponti». La risposta dei presidenti del Comitato nazionale Matteo Spanò e Marilina Laforgia non si è fatta attendere: «La nostra scelta educativa e di evangelizzazione è rivolta fino ai confini del mondo, non solo in senso geografico, ma esistenziale - hanno detto al Papa - Vogliamo giungere nelle periferie del vivere umano, là dove il messaggio di Cristo è più atteso e cercato. Preghiamo perché con l'aiuto di Dio tu possa trasmettere anche a noi il coraggio di sporcarci le mani, per cambiare in meglio il presente anche quando sembra impossibile senza mai farci rubare la speranza e senza mai rinunciare ai nostri sogni». Una rappresentanza dei ragazzi dell'Agesci ha offerto al Papa alcuni simboli «che raccontano quello che siamo e qualche tratto della nostra storia», a cominciare dal pane. Poi «la terra dei nostri paesi. Vogliamo amare i nostri territori facendo del bene per aiutare a costruire un mondo migliore». E ancora «alcune bende, come quelle del samaritano, che ci ricordano quanto bene possiamo fare per gli altri». E infine «il Vangelo, perché è la parola che non vogliamo dimenticare mai». Simpatico il «siparietto» dei saluti alla fine dell'udienza. Dopo l'arcivescovo di Cagliari, monsignor Arrigo Miglio, è toccato a monsignor Paolo Giulietti, ausiliare di Perugia da qualche mese e in passato responsabile nazionale del Servizio Pastorale Giovanile della Cei, presentarsi al Pontefice. Ma lo ha fatto indossando una impeccabile divisa da scout, camicia azzurra, pantaloni corti blu, fazzolettone e una croce pettorale in legno, in stile francescano. Giovane tra i giovani, felice con loro, mons. Giulietti è stato accolto dal Pontefice con un gesto d'affetto e evidente simpatia. Il Papa ha fatto anche il consueto lungo giro in piazza salutando i ragazzi e fermandosi in particolare con quelli malati: con un bambino reso quasi calvo dalle terapie si è fatto fare un selfie con lui e il suo papà.
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