«Lupo», l'ex parà Gianni Nardi e il colpo miliardario a Londra
Valerio Viccei nell'87 rapinò il deposito di Knightbridge e portò via anche la cassetta con i documenti di Calvi
Mattina del 18 aprile del 2000. Strada provinciale numero 1, nel tratto che risale le colline di Teramo e conduce alla frazione di Sant'Egidio alla Vibrata. Pecore, cani randagi e capannoni abbandonati. Nient'altro. Due agenti sopraggiungono all'improvviso e ingaggiano un sanguinoso conflitto a fuoco con due uomini, intenti ad armeggiare all'interno del bagagliaio di una Lancia Thema grigia, ferma ai bordi della strada, là dove si diparte il sentiero che conduce a un casolare abbandonato, nascosto da un grande castagno. Sopravvissuti miracolosamente allo scontro, i poliziotti racconteranno in seguito che i due individui stavano caricando con proiettili a espansione una Magnum 357 e una Smith&Wesson, quando il primo colpo esploso dalla Magnum aveva scatenato l'inferno. Sebbene ormai a terra gravemente ferito all'inguine, il capopattuglia ha risposto al fuoco, uccidendo uno dei banditi e ferendo a una gamba l'altro, un affiliato alla Sacra Corona Unita, tale Antonio Malatesta, trentunenne leccese in odore d'incipiente collaborazione con la giustizia. Inizialmente si è pensato che l'ucciso, sulla cinquantina, statura media, capelli castani ormai tendenti al bianco, che impugnava la Magnum da cui son partiti quattro colpi, sia un albanese, deponendo in tal senso l'intestazione del falso documento d'identità rinvenutogli addosso; ma l'ha riconosciuto un agente della polizia scientifica: è Valerio Viccei, recluso nel carcere di Pescara, da cui poteva allontanarsi ogni giorno, dalle 8,30 alle 22,30. Un uomo controverso, Valerio Viccei, soprannominato «Lupo», figlio di un avvocato di Ascoli Piceno, dov'era nato nel 1955, del quale si ricorderà come, di volta in volta, avesse vestito i panni del gangster; dell'infiltrato, del malavitoso di provincia o del bandito di rango; capace, insomma, di essere tutte queste cose insieme; di lui si dirà che probabilmente aveva immaginato luoghi e avversari diversi, quantunque non potesse che morire così, sotto i colpi della polizia, costruendo in tal modo il suo mito; ma di cui si sottolineerà pure che il suo personaggio è abbondantemente descritto dalle varie sentenze che lo riguardano e che, sebbene dei morti bisognerebbe parlare solo bene, purtroppo quelli sono i fatti. Appena quindicenne, Valerio Viccei aveva conosciuto, diventandone ben presto amico, Gianni Nardi, rampollo di una famiglia d'industriali della sua città natale, più vecchio di lui di quasi una decina d'anni. Personaggio singolare anche costui: abbandonata col grado di tenente la vita militare nei Paracadutisti, ha intrapreso la sua militanza politica avvicinandosi prima alla Giovane Italia, organizzazione giovanile del Msi, quindi alle Squadre d'azione Mussolini e finalmente a Ordine Nuovo, a Milano, così da essere considerato uno dei personaggi più importanti della destra milanese, insieme a Salvatore Vivirito, Giancarlo Esposti, Riccardo Manfredi, Nico Azzi, Giovanni Ferorelli, Alessandro D'Intino, Rodolfo Crovace e tanti altri; bloccato dalla Polizia, nel settembre 1972, con altri due militanti al valico di Brogeda, ai confini con la Svizzera, all'interno della Mercedes nera a bordo della quale viaggiano si rinvengono numerose armi e materiale esplosivo ad alto potenziale; incriminato e poi prosciolto per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi, ma condannato per favoreggiamento nell'omicidio di un benzinaio a Piazzale Lotto a Milano, fugge all'estero: dopo quattro anni, nel settembre 1976, le autorità spagnole lo dichiareranno morto in un incidente d'auto; una morte misteriosa: l'auto su cui viaggiava è finita fuori strada prendendo subito fuoco e rendendo così il cadavere irriconoscibile; alcuni anni dopo, nell'aprile del 1991, il suo nome verrà rinvenuto nell'elenco di coloro che erano stati contattati dal Sismi per essere inseriti nella struttura «Gladio», segnalato, allo scopo, dal Capitano Camillo Carrignani, soprannominato «Serafino». Infine, nel 1993, Donatella Di Rosa, in una conferenza stampa, affermerà di aver partecipato, lui presente, a riunioni segrete, con l'intento di raccogliere fondi e organizzare un Colpo di Stato, con alti esponenti delle Forze Armate; per questo il suo cadavere sarà riesumato e in pochi giorni ne verrà confermata l'identità, mentre la credibilità di «Lady Golpe» colerà irrimediabilmente a picco. Diversamente da Gianni Nardi, il quale è mosso da pulsioni «ideologiche», a Viccei interessa poco la teoria e, alla fine, fra la strategia della tensione e il vile denaro, finirà per preferire il secondo. La prima denuncia arriva nel 1971: l'accusa è di essere entrato nella sede cittadina del Psiup e averla devasta; questione di mesi e arriva il carcere: nel '72, appena diciassettenne, piazza una carica esplosiva sotto un ripetitore televisivo; quindi, finisce dentro, con l'accusa di aver rubato un'auto sotto casa: «Dovevo andare a Roma al comizio di Almirante», si giustificherà. Da lì in poi è un susseguirsi di reati contro il patrimonio e un omicidio, nel 1981. Quello di un suo complice, il ventinovenne Giovanni Niccolai, estremista nero, che controllava un giro di droga: due colpi di pistola al torace e all'addome e poi la benzina per bruciarne il cadavere; la confessione una decina d'anni dopo: «Uccidere è intollerabile. L'ho detto ai genitori di Giovanni, scusandomi. Perché quello è stato un incidente. Non volevo che il figlio morisse. Ma non ho avuto scelta. Lui stava per ammazzare me. E io ho dovuto difendermi». Condannato per traffico d'armi e altri reati minori, ottiene la libertà vigilata, quindi, il 30 dicembre 1986, sparisce. Eccolo, però, a Londra, in occasione della clamorosa rapina al Knightsbridge Deposit Centre di Brompton Road. Nel libro di Teresa Valiani e Raffaella Viccei, «Lupo. La vera storia del bandito Valerio Viccei. Passioni, ossessioni e scelte dell'"uomo d'oro"», verrà squarciato il velo dell'oblio su quell'assalto colossale: «Dal cuore della City, nell'estate del 1987, Valerio, nel suo impeccabile completo Armani, era riuscito a scappare senza colpo ferire con un bottino spaventoso che superava i 140 miliardi di lire, tra contanti e diamanti, e tanti di quei documenti da far rabbrividire i servizi segreti. Costantemente circondato da belle donne, il Lupo viveva da sempre sul filo del rasoio e aveva le psysique du rôle del rapinatore gentiluomo: studi classici, modi signorili e un fortissimo magnetismo. Grazie al bottino di Knightsbridge, aveva strappato alla stampa inglese il soprannome di "uomo d'oro" e al giudice Robert Lymbery i complimenti per un'impresa che aveva stupito anche i più alti dirigenti di Scotland Yard». Anche Valerio Viccei, in un libro uscito postumo nel 2004 e intitolato «Live by the gun, die by the gun», avrebbe raccontato le modalità della rapina al Knightsbridge, definita «il più grande colpo della storia» e che gli aveva fruttato una condanna a 72 anni di carcere, ridotti poi a 30: prima entrarono due uomini a volto scoperto e dall'aspetto più che rispettabile, in doppiopetto e cravatta per eludere i sofisticati sistemi di controllo che comprendevano sensori termici e di movimento, rilevatori a infrarossi e pareti spesse 60 centimetri; quando si presentarono sorridenti, dissero di voler affittare alcune cassette di sicurezza e così si fecero accompagnare dal direttore, Parvez Latif, verso le stanze blindate, nelle quali non c'erano telecamere; una volta qui, estrassero dalle valigette ventiquattr'ore una pistola e un fucile a canne mozze, che puntarono contro il dirigente della filiale, successivamente arrestato con l'accusa di complicità, e due vigilantes. A quel punto, avvertirono i complici usando ricetrasmittenti che avevano con sé, li fecero entrare e tutti insieme trascorsero la successiva ora e mezza aprendo 126 cassette di sicurezza intestate a magnati mediorientali, aristocratici e manager. Finalmente, prima di andarsene, lasciarono un film in videocassetta, «Come sposare un milionario», in cui, all'inizio degli anni Cinquanta, Marilyn Monroe e Laureen Bacall architettavano un piano per impalmare un rampollo che le liberasse per la vita da qualsiasi preoccupazione economica. Nel novembre 1993, The Mail on Sunday riporta alcune dichiarazioni di Valerio Viccei: tra le cassette del Knightsbridge svaligiate, ce n'era una che «doveva» essere aperta, sebbene non contenesse preziosi, ma piuttosto documenti appartenuti a Roberto Calvi, che egli avrebbe poi fatto sparire. Queste rivelazioni saranno giudicate inattendibili dai magistrati, senza che ciò pregiudichi, tuttavia, il suo trasferimento in un carcere italiano, tra le proteste degli inglesi, convinti, non a torto, che il rapinatore sarebbe uscito troppo presto, rispetto alla fine della sua pena.
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