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Da Albert «bocca piena» alla P2

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Ecco la pista dei falsi rapimenti Servizi segreti, malavitosi, killer sudamericani e massoni La storia del francese spodestato dalle «batterie» romane

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«Se mi avete preso, vuol dire che qualcuno mi ha tradito. Ma la pagherà cara, perché sono protetto da una grande famiglia», ringhia Albert Bergamelli, capo dei marsigliesi, il viso livido, stravolto dalla rabbia, quando la sera del 29 marzo 1976 arriva in stato d'arresto al secondo piano della questura romana. I cronisti presenti annotano distrattamente la frase senza neppure presagire, ma il prigioniero ne è consapevole, che stanno assistendo all'inizio dell'irreversibile declino di uno dei più grossi criminali del dopoguerra, la cui fase ascendente era trascorsa dall'esperienza del riformatorio ai grandi interessi internazionali, coperti dall'ombrello della massoneria deviata. Perché alle minacce di Albert Bergamelli possa darsi un senso preciso, sarebbe necessario, infatti, interpolare nella sua frase sibillina soltanto una sigla: «P2». Lì per lì, invece, a nessuno viene in mente. Eppure, col senno di poi, tutto sembrerebbe portare alla famigerata Loggia massonica Propaganda Due: «Piduisti» sono molti dei facoltosi personaggi sequestrati; «piduista» è il difensore-imputato, poi assolto, l'avv. Gianantonio Minghelli; «piduista» il commissario romano che arrestò materialmente il boss marsigliese, il dottor Elio Cioppa. Bergamelli stesso, del resto, già nel 1973, era stato indicato come amico di Licio Gelli, il quale, naturalmente, aveva smentito. Ma soltanto in seguito si apprenderà come dall'istruttoria sui rapimenti stiano venendo fuori, a poco a poco, tanti elementi che porteranno a scoprire gli ultimi sconcertanti gradini della scalata di Albert Bergamelli, non ultimi gli intrecci sorprendenti tra criminalità comune, politica e finanza. Neppure tre mesi dopo il clamoroso arresto del boss, il 10 luglio 1976, con una raffica di mitra verrà ucciso a Roma, da un commando fascista guidato da Pierluigi Concutelli, il sostituto procuratore Vittorio Occorsio, titolare di quella inchiesta, oltre che il primo ad aver ipotizzato possa essere la massoneria a tirare le fila del terrorismo, utilizzando sia rossi che neri. Il giorno prima di essere ucciso, il magistrato, parlando con un giornalista, ha fatto notare che il totale della cifra pagata per i riscatti dei rapimenti per cui Albert Bergamelli era stato arrestato, il sequestro di Amedeo Maria Ortolani, figlio di Umberto Ortolani, braccio destro di Licio Gelli, nonché quelli di Alfredo Danesi e di Giovanni Bulgari, entrambi iscritti alla P2, corrisponde esattamente alla cifra spesa per l'acquisto della sede dell'Ompam, cioè l'Organizzazione Mondiale del Pensiero e della Assistenza Massonica, una superloggia internazionale con sede a Montecarlo, fondata da Licio Gelli nella primavera del 1975. Arrigo Molinari, l'ex questore di Genova il cui corpo senza vita sarà trovato nel settembre del 2005, riverso in una pozza di sangue, in una stanza dell'hotel Ariston, di sua proprietà, ad Andora, regolarmente iscritto alla Loggia P2 (tessera 2055), a proposito della rapina di via Montenapoleone, all'epoca della quale era funzionario della questura di Milano, riteneva che potesse trovare una spiegazione all'interno di un rapporto di continuità diretta tra ex membri dell'Oas e la Gladio, struttura paramilitare pronta a intervenire nella sciagurata ipotesi che i comunisti fossero usciti dal recinto dell'opposizione. Molti anni dopo, Antonio «l'Accattone» Mancini, divenuto collaboratore di giustizia racconterà, a verbale: «Danilo Abbruciati, in varie occasioni, mi parlò di Albert Bergamelli, in relazione al finto sequestro di persona del figlio di Umberto Ortolani, organizzato da Berengueur, Bergamelli, Bellicini e da lui stesso, per venire incontro alle esigenze dell'Ortolani, il quale aveva il problema di fugare ogni dubbio sui suoi rapporti con il mondo della malavita». Abbruciati, in particolare, mi raccontava che «Bergamelli aveva commesso l'attentato a Bernardo Leighton, il che gli consentiva di potersene fregare di fare il malavitoso, in quanto per quel fatto godeva di appoggi e di contatti molto potenti». Certo, come spesso gli accade, l'Accattone parla per sentito dire, oltretutto da parte di un morto, che non lo potrà smentire, ma taluni elementi appaiono suffragarne l'attendibilità, almeno per quanto concerne il sequestro Ortolani. Nell'immediatezza di quel rapimento, infatti, qualcuno si stupì del fatto che, nel momento in cui la Voxson, fra le più importanti fabbriche capitoline e che versava in grave crisi, era venuta a trovarsi senza il suo presidente, le procedure per il salvataggio dell'azienda avevano subito un'improvvisa accelerazione, così da permettere, sotto il patrocinio dei fratelli della P2, di portare a pareggio un bilancio altrimenti fallimentare. Si trattava, ovviamente, soltanto di malevole insinuazioni. Nel 1981, però, le indiscrezioni si arricchirono di ulteriori particolari: nello stesso stabile di via dei Condotti che ospitava la gioielleria Bulgari, venne alla luce lo scandalo della P2, nella quale giocava un ruolo di primaria importanza Umberto Ortolani, padre di Amedeo, già venerabile maestro della Loggia «Lira e Spada», ma anche finanziere di Roberto Calvi e Michele Sindona. Bernardo Leighton, ex vicepresidente del Cile, dal 1964 al 1970 e tra i fondatori del Partito democratico-cristiano; avversario di Salvador Allende; voce moderata, ma molto severa, nei confronti dei golpisti del generale Augusto Pinochet; esiliato nel 1974, aveva scelto l'Italia, sperando nell'appoggio della Democrazia cristiana. La sera del 6 ottobre 1975, mentre Leighton rientrava a casa con la moglie, Anita Fresno, si trovò sulla linea di tiro dei sicari della rete Condor. Gravemente feriti, sopravvissero, ma lui non tornerà mai più quello di prima. Dopo l'attentato commentò: «Este viejo no quiere morir», questo vecchio non vuole morire. Alcuni confidenti del Sid, il servizio segreto militare italiano, avevano segnalato la presenza a Roma, a fine luglio 1975, di un gruppo di militari cileni, arrivati nella capitale italiana, per organizzare l'attentato; nel rapporto poi consegnato alla polizia giudiziaria e alla magistratura, però, le parole «militari cileni» erano state sostituite da «militanti del Mir cileno», un gruppo d'estrema sinistra. Ripartiti i «militari cileni», a Roma rimasero, in un appartamento di via Sartorio 51, nel quartiere Tomba di Nerone, alcuni fascisti italiani: il padrone di casa Stefano Delle Chiaie, fondatore e capo di Avanguardia Nazionale, ma anche ben introdotto negli ambienti dell'Ufficio Affari Riservati del ministro dell'Interno, e tra i suoi ospiti i camerati Vincenzo Vinciguerra, Giulio Crescenzi e Pierluigi Concutelli. Solo molti anni più tardi si sarebbe saputo che a indicare Bernardo Leighton come obiettivo da eliminare era stato Manuel Contreras, detto «Mamo», il capo della Dina, la polizia segreta di Pinochet, uomo senza dubbio vicino ai «piduisti» italiani e benvisto addirittura da alcuni illustri esponenti del Vaticano. Vent'anni dopo, nel 1995, a Roma, costui venne condannato a 20 anni di reclusione, come mandante, mentre il comandante della sezione estera della Dina, Neumann Iturriaga, a 18 anni. Nessuna condanna, invece, per gli esecutori. In un processo precedente, nel 1989, la sentenza d'appello aveva assolto, seppur con formula dubitativa, Pierluigi Concutelli, accusato di aver sparato, e Stefano Delle Chiaie, accusato invece di averlo accompagnato sul luogo dell'attentato. Il 31 agosto 1982, in uno stanzone pieno di guardie e detenuti, della Casa circondariale di Marino del Tronto, il carcere dello strapotere dei boss, dei registri cancellati delle visite «private» a Raffaele Cutolo e delle trattative «autorizzate» con brigatisti, uomini dei servizi segreti e un sindaco democristiano, Albert Bergamelli viene accoltellato mortalmente da Paolo Dongo, ergastolano trentenne, che vanta un curriculum criminale di assoluto rispetto: a Genova, sua città natale, lo chiamavano «Polpetta» e faceva parte di quella gang delle rapine che aveva raccolto l'eredità della banda di Marietto Rossi Paolo Dongo è ospite del supercarcere ascolano solo da poche settimane, mentre Albert Bergamelli, in quel supercarcere, è stato, invece, uno degli uomini di fiducia di Raffaele Cutolo, con il delicato compito di amministrare il «sopravvitto», i denari cioè che, in prigione, ciascun detenuto può spendere per gli extra. 'O Professore, tuttavia, è finito all'Asinara, in compagnia di molti dei suoi affiliati, sicché il marsigliese si sente improvvisamente «solo» e, magari, perché conosce qualche imbarazzante retroscena delle trattative con i brigatisti rossi, esposto a tutt'altro che eventuali pericoli e rappresaglie. Per questo ha chiesto di essere trasferito, «per motivi di salute», ad altro penitenziario. Peccato che la mano del killer sia stata più veloce della burocrazia.

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