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«Mio nipote Alceste ucciso dai suoi compagni»

SOFRI: PRIMO GIORNO ALLA NORMALE DI PISA

Valerio Cutonilli L'omicidio di Alceste Campanile può definirsi un caso risolto? Lo zio del militante di Lotta Continua, ucciso il 12 giugno 1975, è convinto di no. Emanuele Campanile, pediatra in...

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L'omicidio di Alceste Campanile può definirsi un caso risolto? Lo zio del militante di Lotta Continua, ucciso il 12 giugno 1975, è convinto di no. Emanuele Campanile, pediatra in pensione che assistette personalmente alla nascita del nipote, continua a battersi per la verità. Il corpo del giovane, trafitto da un proiettile alla nuca e uno al cuore, fu scoperto su una strada della campagna reggiana. La pista nera non portò a nulla ma nel ‘99 Paolo Bellini - collaboratore di giustizia con trascorsi nell'estrema destra – pose fine al mistero confessando il delitto. Campanile però non crede a una parola del pentito: «La ricostruzione giudiziaria è insostenibile e la confessione indolore, grazie alla prescrizione non è stato neppure condannato», dice. L'anziano medico spiega gli esiti di una lunga ricerca: «Bellini chiamò in correità altri fascisti, tutti scagionati dai magistrati. Ma da solo non può aver agito perché dalle perizie risulta che spararono due pistole». Campanile esclude che il reo confesso abbia riferito particolari inediti: «Il mancato ritrovamento di un bossolo era notizia nota, il padre di Alceste ne parlò in un libro di Pansa dell'80». Dunque non si tratterebbe di un omicidio commesso da nemici politici: «Dall'autopsia risulta che il ragazzo non era stato drogato e non aveva adrenalina nel sangue. Nessuna traccia di paura o di una difesa, fu colpito a tradimento da persone di cui si fidava». Campanile vuole fare chiarezza anche sulla militanza di Alceste: «Da ragazzino prese per gioco la tessera missina ma il vero interesse per la politica iniziò dopo. Come molti giovani di allora, cercò a sinistra i propri ideali. Nel '74 divenne presidente di un circolo Ottobre. Ma rimase deluso e prima della morte confidò a un compagno l'intenzione di lasciare Lc». La tesi del «fuoco amico» è sempre ardua da accettare. Eppure lo zio di Alceste non ha dubbi: «A un'amica del ragazzo arrivò una telefonata da compagni romani che sapevano dell'omicidio prima che l'Ansa ne desse notizia. Dare la colpa ai fascisti era scontato. Mio fratello però indagò di persona e capì che la matrice era rossa». Ma la battaglia di Vittorio Campanile condotta in una città difficile - che per taluni celerebbe addirittura i segreti della strage sul treno Italicus - non condusse ai risultati sperati: «L'inchiesta aperta grazie a mio fratello - continua Emanuele - lambiva ambienti intoccabili (magistrati, politici, noti intellettuali) e finì con l'infrangersi sul muro di un'omertà vergognosa. Ma anche Sofri, che continua a tacere, intuì subito la scomoda verità e Boato nel '77 parlò di un omicidio di marca comunista. Nel '79 Lc diede inizio a una controinchiesta e nella vicina Bologna i compagni indisciplinati venivano minacciati di fare la fine di Alceste». Ma quale pericolo poteva rappresentare uno studente del Dams di 21 anni? «Secondo mio fratello, Alceste conosceva fatti riguardanti l'autonomia operaia e il sequestro-omicidio di Carlo Saronio - precisa lo zio - C'è poi la controinchiesta del ragazzo sul traffico di droga che pochi conoscono». Campanile lascia intendere di conoscere l'identità di una persona sospettata del delitto: «Nell'85 - racconta - un agente segreto italiano fu arrestato negli Usa e, per evitare l'estradizione, promise informazioni sul traffico di droga. Secondo un giornale americano, diede dimostrazione delle sue conoscenze indicando un uomo trasferitosi a Managua, responsabile anche dell'omicidio di Alceste. Si tratta di un milanese proveniente da Lc che compare in un'inchiesta sulla strage di Brescia, nella sua tenuta in Nicaragua venivano addestrati terroristi della rete internazionale guidata dai palestinesi. Perché non è possibile indagare su di lui?». Campanile non vuole rivelarci il nome dello sconosciuto, riferito invece ai giudici: «Nel febbraio 2011 la Procura aprì un fascicolo grazie ai documenti da me depositati ma non è successo nulla. Due anni fa ho pregato inutilmente il Procuratore Capo di far avanzare l'indagine. Niente. Sono molto deluso, ho perso la stima per questi magistrati. Ma anche se gli orrendi segreti della Reggio rossa restano inviolati, dalla sua tomba a San Maurizio mio nipote non ha mai smesso di chiedere giustizia». Per Emanuele Campanile c'è un solo modo per scoprire la verità: cercarla.

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