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Born to run, quando Bruce Springsteen diventò il re del rock

Carlo Antini
Carlo Antini

Parole e musica come ascisse e ordinate

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Sottile linea di demarcazione tra innocenza, epica e anticonformismo. Tra working class e la gloria di quello che il rock sarebbe diventato nei decenni successivi. «Born to run» fu pubblicato il 25 agosto 1975 e compie 50 anni. Punto di svolta nella carriera di Bruce Springsteen. Dichiarazione d’intenti, inno alla libertà e alla fuga, epopea urbana che ha ridefinito i confini del rock americano. Per celebrarlo il Boss ha pubblicato in download e streaming «Lonely night in the park», outtake in studio registrato al Record Plant durante le sessioni originarie e, all’epoca, preso in considerazione per essere incluso nell’album di cui mantiene vivo e rinverdisce lo spirito.

In quei giorni Springsteen era solo un giovane musicista del New Jersey con due album all’attivo e una reputazione da poeta urbano. Sentiva su di sé la pressione di sfondare commercialmente, visto che i primi due lavori si erano rivelati altrettanti flop. «Born to run» fu il suo tentativo consapevole di creare «una grande opera americana». Ci lavorò ossessivamente per più di un anno, cercando un suono che intrecciasse il rock con l’ambizione della musica orchestrale. Le sessioni in studio con la E Street Band furono prolungate ed estenuanti e durarono dal gennaio 1974 al luglio 1975. La band e i produttori trascorsero ben sei mesi solo sulla title track «Born to Run». Il risultato fu un album dove le influenze di Phil Spector, Bob Dylan e Roy Orbison si fondono in un linguaggio epico e cinematografico. «Thunder road», «Tenth avenue freeze-out», «Night», «Backstreets», «Born to run», «She’s the one», «Meeting across the river» e «Jungleland» racchiudono un’atmosfera forse irripetibile. Springsteen immaginava che le canzoni fossero ambientate durante un lungo giorno e notte d’estate. Ogni traccia racconta storie di giovani in cerca di riscatto, incastrati in vite marginali ma frementi di desiderio. In «Thunder road» Springsteen invita la sua Mary a salire in macchina e a partire lasciandosi tutto alle spalle. In «Jungleland», la città diventa teatro di drammi dalle tinte shakespeariane. «Backstreets» parla con sincerità di amicizia, tradimento e perdita. Il filo conduttore è l’idea della strada come possibilità, della notte come momento di rivelazione e redenzione.

L’album segnò anche la piena affermazione della E Street Band come entità fondamentale del suono di Springsteen. I fiati, i pianoforti intrecciati di Roy Bittan e Danny Federici, il sax di Clarence Clemons e la batteria di Max Weinberg contribuiscono a creare un «muro del suono» denso, ricco e avvolgente. In questo senso la title track «Born to run» è emblematica: un brano costruito come un crescendo epico con testi che parlano di fuga e sogno. «Born to run» fu un successo immediato. La copertina con Springsteen appoggiato a Clarence Clemons divenne iconica. Fu scattata il 20 giugno 1975 da Eric Meola nel suo studio fotografico. Nello scatto in bianco e nero, il cantautore imbraccia la sua Fender Telecaster, appoggiandosi alla schiena di Clemons. La fotografia continua nel retro (la custodia originale dell’Lp originale si apre a libretto) dove emerge la figura completa del musicista intento a suonare il sassofono. Springsteen indossa una giacca di pelle nera e Clemons una camicia bianca a righe e un cappello nero. Secondo Meola si era trattato di uno scatto eccezionale: «Volevo qualcosa che fosse quasi impossibile da stampare - disse - ma bello da guardare se stampato perfettamente, in qualche modo innocente e intelligente insieme».

«Born to run» scalò le classifiche, portando il Boss sulla copertina di «Time» e «Newsweek» nello stesso momento, un evento senza precedenti. Ma più importante ancora fu la sua influenza. Con questo disco il rock ritrovava epica e narrativa che potevano parlare al grande pubblico senza perdere la profondità. Una scrittura viscerale, cinematografica e poetica che ha sintetizzato una volta per tutte il rock come forma d’arte. Ha dato voce a chi non ne aveva e raccontato vite ordinarie con la dignità e la passione delle grandi epopee urbane.

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