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Roma caput Islam: nella Capitale 53 moschee "abusive" ma solo una è ufficiale

Rita Cavallaro
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Roma è sempre più capitale dell'Islam. Di fronte alla minaccia crescente del terrorismo di matrice islamica, che ha portato l’Italia a innalzare il livello di sicurezza e a rafforzare le misure di prevenzione contro il pericolo jihadista, il Viminale ha mappato le moschee abusive della Città eterna, quei luoghi di culto nascosti tra seminterrati e garage dove si annida la radicalizzazione e in cui, mimetizzati tra i fedeli, si nascondono quei lupi solitari diventati troppe volte martiri della guerra santa. Perché sotto l’immagine della Grande Moschea, che si trova appunto in via della Moschea ed è il più esteso centro culturale islamico d’Italia, si celano un elevato numero di luoghi dove i musulmani pregano, ma costantemente monitorati dalla nostra intelligence.

 

Al momento il censimento dei dipartimenti di sicurezza, sotto la guida del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, hanno certificato l’esistenza di 53 moschee abusive, rispetto alle 30 censite dieci anni fa dall’Antiterrorismo, che in un dossier aveva rivelato come fossero almeno un centinaio le realtà di preghiera illegali da portare alla luce. L’intensificazione dei controlli e le indagini sempre più stringenti, grazie alle relazioni investigative degli 007, hanno portato ora a raddoppiare il numero dei centri culturali censiti, puntando i riflettori sulla galassia, rimasta per anni nell’ombra, di imam integralisti e predicatori di odio, disposti a tutto pur di portare avanti quella missione contro l’Occidente infedele, tentando di inculcare nelle menti dei più giovani e delle seconde generazioni la dottrina fondamentalista del martirio al grido di Allah akbar.

 

Bacini di illegalità che non possono più essere tollerati, di fronte agli attentati cruenti, scatenati nel cuore dell’Europa da jihadisti arrivati sui barconi a Lampedusa, o all’ultima tragica strage compiuta dall’Isis alla Crocus City Hall di Mosca, il 22 marzo scorso. L’allerta delle nostre forze dell’ordine è massima, come dimostra l’arresto del super terrorista del Tagikistan Ilkhomi Sayrakhmonzoda, fermato dai poliziotti della Digos non appena sbarcato a Fiumicino, lo scorso 8 aprile. E sono diverse le operazioni che hanno portato in manette islamici impegnati nel proselitismo, oltre ai servizi informativi che hanno permesso di sventare attentati nel nostro Paese. Perché gli approfondimenti dell’Antiterrorismo sono proiettati a 360 gradi e includono lo scandaglio a raggi X del dark web, le intercettazioni e perfino il controllo dei testi nelle moschee abusive.

Le 53 della Capitale sono organizzate in capannoni, garage, seminterrati, appartamenti. In molti casi sono ritenute illegali, nonostante vengano tollerate. Sono inoltre suddivise in tre gradi sulla scala del rischio di radicalizzazione terroristica: nessun rischio, mediamente a rischio e rischio maggiore. Almeno la metà dei centri islamici mappati vengono costantemente tenuti sotto osservazione, perché considerati a medio e alto rischio. Dal minareto della Grande Moschea, un modello di integrazione, si passa infatti al seminterrato della Al-Huda di Centocelle, la seconda moschea romana ritenuta dall'intelligence a rischio infiltrazioni degli integralisti islamici. Fino ad arrivare alla sala di preghiera di Ostia, finita anni fa sotto i riflettori degli inquirenti per la figura dell’imam, ripreso dalle telecamere nascoste delle Iene mentre pronunciava un discorso pericoloso e non condannava moralmente gli attentati contro gli infedeli. La propaganda jihadista, comunque, oggi è monitorata, grazie a procedure di controllo stringenti messe in atto per prevenire un percorso di radicalizzazione fino a qualche anno fa fuori controllo. Oltre al monitoraggio dei soggetti più attenzionati e alle microspie nelle sale islamiche, la Questura attua anche una revisione dei testi religiosi, quelli che vengono letti dagli imam durante la preghiera del venerdì. Ma solo dopo la traduzione e l’approvazione di un funzionario di polizia. 

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