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Tasse, governo pronto a intervenire sui redditi fino a 55mila euro: tagli e bonus

Filippo Caleri

Finalmente, verrebbe da dire, il governo si occupa delle tasche di quella parte di contribuenti che, seppur rientrante nella più ampia accezione di «classe media», da una certa narrativa (spesso di sinistra) viene definita «ricca». Stiamo parlando di chi guadagna ogni anno un reddito compreso tra 35mila mila e diciamo, per semplificare, fino a 70mila. Si tratta di netti mensili in busta paga che vanno da quasi duemila fino 3mila euro. Somme sicuramente più pesanti di quelle degli scaglioni più bassi, e probabilmente oggetto del desiderio di chi si trova nelle fasce inferiori, ma che non legittimano per questo l’iscrizione nella categoria dei benestanti. Sì, perché in una famiglia media, con coniuge e due figli, tra eventuale mutuo, bollette, condominio, assicurazione auto, e magari rata per acquistare la berlina, questi importi tengono si lontana la povertà ma non consentono certo di scialare.

 

Ora però qualcosa cambierà anche per loro. Un’attenzione dell’esecutivo che arriva dopo tanti bocconi amari, digeriti per puro senso di solidarietà, dopo i redditi sociali dei grillini per i poverissimi (con in mezzo comunque qualche «divanista») e il primo modulo del nuovo fisco targato Meloni che ha ridotto le aliquote da 4 a 3 e assicurato sconti di imposta decrescenti annullati proprio a quota 50mila euro (grazie a un taglio lineare alle detrazioni fiscali di 260 euro). Ai presunti ricchi non solo sono mancati gli sconti di imposta ma anche benefici importanti come i bonus per scuole, figli, nido, trasporti e quant’altro negati per l’infernale meccanismo dell’Isee, l’indicatore di ricchezza che tiene insieme patrimonio e reddito. Basta avere una casa in eredità dai genitori, stipendi leggermente più alti della media, qualche titolo di Stato in banca, per restare esclusi dalle agevolazioni. Anche in questo caso a pagare dazio è la classe media di cui si parla. Che ha perso pure la riduzione del cuneo fiscale: lo sconto sui contributi dei lavoratori, pari al 6% si annulla proprio a quota 35mila euro. Quella maledetta barriera numerica che lascia come «color che son sospesi» chi guadagna un po’ di più della media. Ma non molto di più.

 

Una categoria (quella da 35 a 100 mila euro) che, secondo i dati degli imponibili delle dichiarazioni del 2022 (redditi 2021) conta circa il 12,5% dei contribuenti ma che versa quasi il 40% dell’Irpef totale incassata dallo Stato. Insomma una fascia che potrebbe essere ironicamente denominata «Pantalone», perché paga sempre e ottiene molto poco in cambio. E che è anche un polmone finanziario fondamentale per le casse dello Stato, lo stesso che li negletta togliendo mezzi copiosi a una pezzo della popolazione vitale anche per i consumi, non solo di sussistenza. Quadri, funzionari, impiegati di alto livello sono un motore per l’acquisto di beni durevoli come macchine, elettrodomestici, tecnologia che per inciso significano anche occupazione. Acquisti che fanno comunque Pil e che, con la tassazione così esasperata, spesso sono rinviati o nemmeno presi in considerazione. Ora finalmente pare arrivata un po’ di attenzione anche per loro. Il viceministro dell’economia Maurizio Leo lo ha ribadito con chiarezza ieri presentando la riforma: «Siamo intervenuti sui redditi medio bassi ma ora dobbiamo occuparci del ceto medio. Ho sempre detto che chi guadagna 55mila euro non può essere considerato super ricco e oggi questi soggetti pagano oltre 50% di tasse». La classe media attende.