Filippo Turetta, i casi inquietanti nel carcere di Verona: "Qualcosa non va"
È allarme nel carcere di Verone, lo stesso in cui è detenuto Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio della ex fidanzata Giulia Cecchettin ma anche Benno Neumair, condannato all’ergastolo per l’assassinio dei genitori, e l’ex guardia giurata Massimo Zen. Sono tre i suicidi che si contano nell'ultimo mese. L'ultimo a togliersi la vita nell'istituto di Montorio è stato un giovane di origini marocchine che, secondo le prime informazioni, si è impiccato ed è morto in ambulanza durante il trasporto in ospedale. Aveva quasi finito di scontare la pena, gli mancavano pochi mesi. Sono 62 i reclusi che si sono tolti la vita in tutte le carceri italiane nel 2023.
Il libro che Filippo ha messo vicino al corpo di Giulia. Parla il negoziante
La famiglia del marocchino ora chiede di sapere cosa è successo, scrive il Corriere del Veneto che raccoglie l'appello di avvocati e operatori: "Qualcosa non va". "Una settimana prima della tragedia mio fratello era felice, stava contando i giorni all’imminente scarcerazione. Era pieno di progetti", racconta il fratello del detenuto che sarebbe tornato in libertà tra novanta giorni. Secondo i familiari non aveva motivo per compiere un gesto estremo. "Nulla di quello che è successo negli ultimi giorni di vita di mio cugino mi sembra chiaro - dice un'altra parente dell'uomo - Tra tre mesi lo avrebbero scarcerato e lui era impaziente di rifarsi una vita, io ero pronta a dargli una mano e accoglierlo in casa, non aveva alcuna ragione per ammazzarsi. Per questo chiediamo chiarezza e verità, non vogliamo che la sua morte venga subito archiviata e passata sotto silenzio, troppe cose non tornano. Ci dicono che avesse problemi psichiatrici, ma allora perché non gli è data assistenza specifica? Se venerdì ha avuto una crisi e gridava di volersi ammazzare, perché è stato messo in cella d’isolamento anziché sorvegliarlo?".
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Come detto è il terzo caso in un mese, più previsamente 28 giorni. La Camera penale di Verona annuncia: "È giunto il momento di alzare la voce e gridare 'basta': siamo pronti anche a deliberare lo stato di agitazione e proclamare l’astensione dall’attività di udienza".